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31 dicembre 2012

Duemilaedodici

Doverosa premessa 
Il post che segue non è un bilancio del 2012, quest'anno è stato molto altro ma di quell'altro io non parlerò. Il post che segue non è un riassunto di ciò che è avvenuto fuori, è ciò che è avvenuto dentro.

Il treno nuovo apre un varco lento e polveroso nella Brianza Occidentale - io ho finito i libri da leggere e il cellulare giace scarico sul fondo della borsa. Schiaccio il naso contro ai vetri, guardo nelle case, cerco gli oggetti personali incastrati tra i capannoni industriali e i boschi che sopravvivono lugubri nello squallore provinciale.

Ogni casa che vedo è una speranza, un simbolo. 
Io sono una di quelle persone sfortunate che non sta bene dove sta, io abito "dove tutto è stato preso".
A volte guardo il mondo da lontano (non è difficile, basta salire in alto, aver voglia di fare le scale, sfidare i balconi) e penso che c'è un posto per me da qualche parte.
Avrò una finestra che da sui binari, e dai binari le persone vedranno qualcosa di mio - le mensole della cucina, un quadro o una fotografia, anche solo un brandello di tenda, e tutto sarà tiepido, pulito e bello. 
Stacco il naso dai finestrini, cancello i segni del mio respiro con la manica della giacca.

Il 2012 è stato fallimenti e dolore. Inutile negarlo, tentare apologie dell'ultimo minuto in cui sciacquare mani che sono sporche di sangue e quel sangue è certamente mio - i mesi che vanno da gennaio a giugno sono nei miei ricordi come mesi di malattia.

I sintomi stavano nella frenesia isterica dei gesti quotidiani, nelle mani sporche dalle unghie deboli che cercavano l'ennesima sigaretta e scavavano stanche il mio viso, e poi l'inappetenza, la fame e la debolezza, e quelle mattine pallide in cui persino schiacciare lo sciacquone del water era un'impresa da affrontare con entrambe le braccia. Facevo un bel respiro, e con due mani racimolavo sufficienti forze per scaricare il cesso, poi mi guardavo nello specchio e a stento mi trattenevo dal sputarmi in faccia.

Ricordo Firenze a febbraio, il vento che tagliava la pelle, i silenzi che tagliavano il vento - ricordo Firenze, l'acqua sporca dell'Arno in cui avrei scaraventato la sua faccia ottusa e sorda alle mie disperazioni, e le grida isteriche per trovare un parcheggio, un posto dove mangiare. E la Pasqua passata a piangere nel bagno di casa sua, il viso schiacciato contro al pavimento, le mani inerti abbandonate lungo i fianchi, una voce che mi chiedeva di uscire e un'altra voce (la mia) che m'intimava di non cedere, di non aprire quella porta e vederlo mentire ancora, e Cristo risorgeva e io morivo e non so cosa si provi a morire in Croce, ma so cosa si prova a morirci sotto.

è un' illusione pronta per l'uso da eterna vittima di un sopruso, 
abuso d' un mondo chiuso e fatalità

Ci siamo amati fino ai denti, io e lui, e quei denti sapevano mordere e ringhiare, erano zanne buone solo a lacerare - l'anno 2012 giunge alla fine e a me piace pensare di essermi perdonata. Certi amori non sono fatti per durare ma per arrivare come uragani e come uragani distruggere, avvicinare alla morte, all'abisso - è stato un amore così il nostro e l'anno 2012 giunge alla fine a me piace pensare di essermi perdonata. Mi piace pensare che un giorno perdonerò anche lui.

In aprile sono morta, e in maggio ero all'inferno. Bruciava e bruciavo anch'io - ricordo quel giorno in banca, rannicchiata nell'angolo più remoto tra trenta persone in attesa.
"Fate passare la signorina, per favore, non vedete che non sta bene?".
Piangevo sempre all'inferno, nel girone delle signorine che non stanno bene: in banca, in università, in mezzo alla strada, sui mezzi pubblici, nel mio letto piccolo in cui il suo odore se ne andava, lento. Piangevo sempre, e forte, e senza ritegno.
Piangevo come piangono i bambini, nascondendosi il viso e sporcandosi tutti di muco, tra la gente.
Ero all'inferno, dove fa caldo e si ha sempre fame e non si può mai dormire perché il corpo intero grida di dolore e non si fa che piangere e piangere e piangere e sporcarsi di muco tra le facce indifferenti degli altri dannati.

Poscia, più che il dolor potè il digiuno. 

E poi non so che giorno fosse, solo il giorno in cui scoprii di non essere all'inferno ma aggrappata con le dita al fango, tra il vuoto e l'abisso. Mi piace pensare che sia stato il sole, e mi piace pensare che sia stato tu. Ritrovai la mia vita in un tuo gesto, nei movimenti che fanno le tue mani quando fumi.
Era giugno, questo lo so. Il giugno più incredibile della mia vita, a metà tra la dannazione e la salvezza, il mondo un inferno e al centro esatto dell'inferno c'eri tu - e io ti volevo più di ogni altra cosa e non facevo che aspettarti, non facevo che camminarti incontro, muovermi nella tua direzione è stata una cosa che ho iniziato a fare quando ancora non sapevo che lo stavo facendo.
Tu eri lì, eri sempre stato lì, solo che dall'inferno brillavi più che mai - e finalmente ti vedevo nella tua interezza e tanto mi è bastato per sapermi ancora viva.

Ed è per questo che la seconda parte del 2012, quella che va da fine a giugno ad adesso sei stato tu. Non sei stato altri che tu. E ti parlo in seconda persona perché è questo che sei, la seconda persona per cui improvvisamente risulta facile, sai, respirare e muoversi, mangiare e dormire. Io e te, esattamente in quest'ordine. E' stato tutto ciò che già sappiamo, è stato trovarsi nel buio e in quel buio vederci, più chiaramente che mai.
Io ti vedo, sai? I segni degli occhiali dopo una giornata di pioggia, il modo che hai di scrivere la lettera D, ogni segno del tempo passato a inciampare in sé stessi nel buio. Tutte cose che conosco già, familiari e nuove - come una canzone dell'infanzia, o il Natale quand'era bello.
Cose dimenticate, eppure sempre sapute - nuove, pulite, concrete.
Ho visto i tuoi occhi dormire sotto le ciglia ad ogni stagione, e ad ogni stagione muoversi per spazi diversi, dimensioni sconosciute dell'essere - mi chiedo come saranno in primavera, mi piace immaginarti senza segni degli occhiali, le ciglia impolverate di pollini.
Il 2012 sei stato tu - che hai preso posto là dove stavano i vuoti di sempre. 


Febbraio 2012

Dicembre 2012


Marzo 2012


Dicembre 2012
Maggio 2012

Non c'è stato molto altro, "è quasi tutto laggiù".
Stacco il naso dai finestrini, cancello i segni del mio respiro con la manica della giacca.
Non faccio i buoni propositi, che poi ci pensa la vita a mandarli a puttane - e ho disimparato a pregare, ma sono diventata brava nel prendermi ciò che mi serve, nel rubare quando si ha fame.
Per il 2013 chiedo poco, quasi niente, solo scudi ed armi nuove.
Per il 2013 chiedo di ricordarmi ogni giorno che si vive per vedere i dolori del presente passati, e che non tutto ciò che amo è lì per essermi portato via.
Per il 2013 chiedo la Fede (rara e preziosa) degli atei, quella che non crede in niente ma pensa valga la pena di battersi per tutto, gli atei che non usano la mancanza di un Dio per fare ciò che vogliono ma per fare agli altri ciò che vorrebbero fosse fatto loro, gli atei che rispettano ogni religione con la stessa positiva indifferenza, gli atei che credono nell'uomo come prodotto stesso dell'uomo, nei secoli dei secoli e questo così sia. 
Per il 2013 chiedo lavoro, doveri, responsabilità - chiedo di sapere cosa significhi il crescere come esperienza positiva, non solo attraverso i dolori ma anche e sopratutto attraverso ciò che di nuovo ti scopri in grado di fare (usare Excel, tagliare 30 centimetri di capelli, amare ancora).

Per il 2013 auguro le stesse cose a ognuno di voi - felice anno nuovo, con tutto il cuore.



26 dicembre 2012

Bilancio Natalizio




Cari amici, in questo giorno gioioso noto con piacere che non mi è arrivata nessuna mail Natalizia di scuse, richieste imploranti e manifestazioni d'amore drammatico. Ne sono lieta, perché visto l'andazzo di questo 2012 ne aspettavo almeno due, più altre che aspetto da anni, ma tant'è.
Meglio così, non avrei avuto voglia di rispondervi.
E dopo queste poche frasi saccenti e rancorose vi saluto,
augurandovi buone feste
Vanna

E poco altro, direi. Due chili tutti accumulati sui fianchi, una serie infinita di carta da pacchi da conservare (buttarla scoccia!) e il mio piccolo cuore verde di Grinch gonfio di quella sensazione che non stenterei a chiamare amore: per la mia famiglia, ognuno a modo suo - e le amiche, sempre scintillanti - e Daniele che disperatamente cerca di dimostrarmi che no, non è un uomo come tutti gli altri ma un uomo coi controc* - e per gli amici di sempre e al loro amore per Gesù (auguri!) - e per i colleghi quando già un po' ti mancano.
Amore e basta, pulito e bello, grato e gioioso.

Natale 2012, non sei tra i peggiori di sempre.
Ma questo non migliora le cose, odiare il Natale è un istinto, una cosa a cui non ci si può sottrarre, e l'anno prossimo a partire dal I dicembre io vi megaodierò tutti, proprio come il dottor Cox.

19 dicembre 2012

Cinquanta buone ragioni per auspicare la fine del mondo

La birra analcolica - la pasta liscia - il papa su Twitter - la faccia di Gasparri - la vecchietta sul treno che mi disse con aria complice "attenta signorina, dietro di lei c'è un estracomunitario" - chi non sa usare l'apostrofo - gli egocentrici - i timidi che ce l'hanno con gli egocentrici - Monica Bellucci - chi abbandona gli animali - chi maltratta gli animali - chi se la prende con chi maltratta gli animali e poi è sgradevole con la gente - i cattocomunisti - i fasciocomunisti - i nazifascisti - gli anarconazisti - eccetera eccetera eccetera - i libri di Nicholas Sparks - il Natale - il presepe - le Madonne che piangono sangue e la gente che ci crede - Paolo Brosio - l'IMU - la segreteria della Statale - le persone in attesa nella segreteria della Statale - la Statale - e in generale le persone - i no TAV - Teletu - i collant incastrati tra le chiappe - il mio ex - chi non ha mai visto Scrubs - chi non ha mai letto Harry Potter - e a tal proposito, la morte di Albus Silente e quella di Severus Piton - il fatto che Harry chiami suo figlio Albus Severus Potter - i cinepanettoni - chi ride dei cinepanettoni - Massimo Boldi - il doppiomento di Massimo Boldi - la faccia viscida di Ezio Greggio - le persone sudate in metropolitana - Trenord - chi ha votato Berlusconi - i libri di Daria Bignardi - la rubrica su Vanity Fair di Daria Bignardi - ma anche quella di Fiamma Satta - la cellulite - i baffi delle donne, sopratutto i miei - andare a dormire senza struccarsi - i preservativi ritardanti - i preservativi alla frutta - i telegiornali quando parlano del "popolo di internet" - il popolo di internet - i centri sociali - Casa Pound - la cultura ostentata e sputata in faccia, esibita come un pene eretto - gli addii - la morte - le camicie a maniche corte - gli insetti - chi parla sempre perché non ha niente da dire - chi sta sempre zitto perché non ha niente da dire - Chiara Ferragni - l'omofobia - la xenofobia - la misoginia - e quelle donne che ti fanno venire voglia di essere un uomo che picchia le donne - gli uomini che picchiano le donne - il post sbronza - Nicole Minetti - il film porno di Sara Tommasi - ma anche quello di Belèn Rodriguez - spezzare un cuore - farsi spezzare il cuore - i sensi di colpa - i sottaceti della LIDL - le barzellette del Cucciolone - i leggins usati come pantaloni - i luna park - i multisala - C'è Posta Per Te - Andreotti - tornare a casa e scoprire che il tuo cane ha avuto la bella idea di pisciare ovunque - Farmville e tutte le varie richieste di giochi e applicazioni su Facebook - il reggiseno che si slaccia nel momento sbagliato - l'unità di misura dei parrucchieri - la sigaretta elettronica - Emanuele Filiberto e Pupo a Sanremo - Beppe Grillo - l'elettore medio di Beppe Grillo - chi non può fare a meno di citare Oscar Wilde - chi non ha senso dell'umorismo - il freddo - la rucola incastrata tra i denti - e la carta igienica attaccata alle scarpe quando si esce da un bagno pubblico - chi abusa della parola "rispetto" - i luoghi comuni da bar di periferia sulle rosse puttane, le voglie sessuali delle suore, gli zingari che rubano i bambini - e tutte le piccolezze e le meschinità e gli arrivismi e le prepotenze e le cattiverie di un'umanità che meriterebbe di sparire nello stesso modo in cui viene al mondo: tra gli escrementi, le urla e il sangue.

29 novembre 2012

Parole Chiaviche: porno edition

Forse lo stage è la cura giusta per la mia tendenza ad ammorbare i lettori, incredibile gente oggi scriverò un post breve, anzi, brevissimo!

3) Donne taglie forti lingerie - e con questa rivolgo un appello a tutte le amiche e conoscenti che si ostinano a mettersi a dieta: fatevene una ragione, gli uomini preferiscono le tonde e dubito che questo blog faccia al caso loro, non sono una taglia forte e non mi faccio foto in lingerie.
2) Concita De Gregorio piedi - che continua ostinato a starsene in seconda posizione, vuoi perché mi diverto a inserirlo nelle tag ogni volta che posso, vuoi perché questo è un blog di sinistra e i radical neanche troppo chic ci bazzicano spesso, tra un Fenoglio e un Vittorini.
1) Puttane bionde e magre - e questa è forse la mia preferita, ma diciamo che si commenta da sola.

Poi, in ordine sparso: bella fighettina, Vanna Banality Fair piedi, donne normali nude, perversioni, blog perversi, donne nude taglia 52, donna nuda nel letto, eccetera eccetera eccetera.
E arrivati a questo punto non so sinceramente se siano peggio i lettori...o l'autrice.

11 novembre 2012

Decalogo dell'amica perfetta

10) L'amica perfetta ti fa ridere - e non ridere del tipo "oh questo smalto me l'hanno venduto celeste e invece è blu", ma quel ridere che riguarda tutti gli ambiti più squallidi e volgari della vita: il sesso, i movimenti intestinali, la cattiveria nei confronti della nuova ragazza del tuo ex.
9) L'amica perfetta ti fa regali - magari non al compleanno o a Natale, ma saltuariamente si presenta con una cagata per te, un accendino o un bagnoschiuma, qualcosa di piccolo che scalda l'anima.
8) L'amica perfetta ti aiuta, sempre - sia che si tratti di ascoltarti piangere alle tre di notte perché il tuo fidanzato è un odioso pezzo di merda, sia che debba accompagnarti a fare la spesa perché persino il tuo frigo comincia ad avere fame.
7) L'amica perfetta ti presta le cose - le mutande, un letto, e il fidanzato quando sei single e non hai nessuno che ti aiuti a cambiare una gomma.
6) L'amica perfetta si fida di te: il fidanzato sopraccitato te lo regalerebbe per una settimana, perché sa che non lo toccheresti nemmeno se fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra - e tu faresti la stessa cosa per lei.
5) L'amica perfetta ti dice che sei bella, che sei brava, che sei la persona più in gamba della terra quando hai davvero bisogno che te lo si dica.
4) L'amica perfetta ti dice anche che il tuo nuovo modo di truccarti ti fa somigliare a David Bowie, che stai facendo la cazzata più immensa della tua vita ad andare a letto col tuo ex, che sei un po' ingrassata.
3) L'amica perfetta conosce i tuoi limiti ed è indulgente, e perdona prima di te tutti gli errori che hai commesso.
2) L'amica perfetta ti medica là dove stai sanguinando, senza bisogno che tu le dica dove fa soffrire.
1) L'amica perfetta ha le palle, è intelligente, è divertente, è appassionata ed è la donna che vorresti vicino se Madre Natura t'avesse concesso la grazia di nascere uomo.

Se avete un'amica del genere, anche una sola, consideratevi fortunate: l'amicizia tra donne, quella vera, è possibile solo tra persone vere - è la storia d'amore più bella che esista. E fidatevi, perché io me ne intendo: di amiche così ne ho addirittura tre.

29 ottobre 2012

Quando nasce un ammore...

sottotitolo: quando nasce un ammore ti metti a dare titoli imbarazzanti ai tuoi post.

Lo dicevo che avremmo avuto modo di parlarne, no?

Volevo scrivere un post di quelli belli, di quelli pensati, riletti, assaggiati tra le pieghe della bocca.
Volevo scrivere un post intenso, serio, interessante - la verità è che non ci sono riuscita, allora per una volta una soltanto lascio che scrivere sia un po' come vomitare, e Dio sa quanto suona di sinistra questa mia ultima affermazione.
Pensavo che era da tanto, tanto tempo che non sentivo quella sensazione che è come passare le narici su qualcosa di perfettamente pulito, senza macchie, senza colpe.
Parlerò chiaro: a maggio sono stata brutalmente e orrendamente lasciata dopo una storia (ma lo era davvero?) di un anno e mezzo. Non entrerò nel dettaglio perché forse l'ho già fatto troppe volte, in altre sedi, ma sta di fatto che sono stata male - e quella storia che era sbagliata, immatura e dolorosa è finita così, nella merda, nello stesso modo in cui è iniziata: parlando poco e male, sputandosi addosso il rancore, ed è stata una storia triste, umile ma vera.
Io l'ho provato l'amore quello pulito, è passato del tempo ma l'ho provato - l'ho avuta anch'io una storia d'amore importante e bella, dall'inizio alla fine. E' durata anni ed è stato amore ogni giorno, l'amore che fa ridere, che fa desiderare, che fa progettare e crescere, io lo so che cos'è e lo rivoglio, lo volevo anche in primavera quando il mondo sembrava disfarsi al tocco delle mie dita e la realtà era come un brutto film, i contorni delle cose appannati, i rumori del mondo taglienti.
Io credo di essere capitata senza volerlo in un altro amore che è appena nato e che ha tutte le carte in regola per essere qualcosa di grosso, qualcosa che cambia una vita.
E' un amore appena nato ma dalle braccia forti, braccia che si stringono nel freddo, ed è nato per caso in un giorno di giugno e a volte mi guardo indietro e penso che sia nato prima - forse a febbraio quando abbiamo fatto tintinnare i bicchieri e c'era lui all'altro capo del tavolo e io non lo volevo, e infatti quella serata finì in lacrime e sangue e io che di nuovo mi sentivo quella che si era comportata come una troia.
Mi guardo indietro e ricordo i sogni, i desideri, quel bisogno di sentirmi stimata, apprezzata da te perché credevo, ero sicura che saremmo potuti essere buoni amici.
Buoni amici lo siamo stati - tu sei stato l'amico migliore quando era maggio e io stavo male, tu mi facevi ridere quando nessun altro riusciva, tu mi facevi venire voglia di parlare, di espormi.
E' durata poco la nostra amicizia, perché un giorno ci siamo guardati e il resto è venuto da solo - ricordo le nostre mani timide nello stringersi di nascosto da tutti, e la goffaggine di chi taglierebbe la testa alle parole con un bacio di quelli guzzi, ed effettivamente così è stato, un bacio guzzo tra la spazzatura e l'università, il mio ritardo di mezz'ora sul lavoro e le tue ciglia lunghe e belle che vibravano, occhi verde bottiglia incastrati nei miei che sono pozzi di perplessità.
E' arrivato da solo il resto, spezzettato nei mesi che passavano lenti e torridi, e ha percorso i primi viali cosparsi di foglie morte in questo autunno timido, e sta conoscendo i freddi, il buio, e arriverà l'inverno a farci da scenografia - l'inverno è un generale dalla storia triste, quasi non lo temo più: a ben guardarlo è un cattivo di quelli che fanno compassione, condannato per sempre a essere sé stesso, l'inverno è un generale che ha alle spalle tutti i dolori del mondo.
Abbiamo fatto la nostra prima gita d'amore e forse serviva l'uragano Cassandra e il mare tempestoso di Trieste a farcelo capire - già lo sapevamo, forse?
Che il nostro è forse un amore appena nato, un amore che cammina per le strade di una città nuova, che ride delle mie battute e anche delle tue, che entra silenzioso in chiesa, che ripara dalla pioggia, che ti tiene per un braccio mentre rischi di cadere - un amore di quelli banali, melensi, senza pretese, di chi è convinto di non meritarsi nulla e proprio per questo ha rispetto dei regali della sorte.
Un amore normale, tiepido e bello, che non insegna niente a nessuno.
E' un amore appena nato, ma certamente è amore.

8 ottobre 2012

Uomini che perplimono le donne (e aggiornamenti)

C'è che noi introspettivi ci facciamo troppe domande - prendete me, ero seduta tranquilla a guardarmi Scrubs e preparare la borsa per domani e ho pensato troppo. Sì, preparando la borsa mi son chiesta...ma perché agli uomini non serve? Lasciamo perdere la ventiquattr'ore da lavoro, e parliamo di tempo libero. Gli uomini non hanno le borse, a meno che voi non siate incappate nella brutta razza degli Uomini col Borsello, che sono un filo più squallidi degli Uomini col Marsupio, ma non di molto.
Io non sono una persona disordinata quando si tratta di borse - ho visto amiche estrarre dei reggiseni dalle loro tracolle, dimenticati là dentro dopo chissà quali bagordi in discoteca. Mi piace variare, quindi mi capita di fare e disfare la borsa anche due o tre volte a settimana, di conseguenza non lascio che si accumulino oggetti inutili o spazzatura.
Ciononostante non posso assolutamente fare a meno di:

- portafogli
- chiavi di casa
- cellulare
- moleskine
- romanzo svedese di 500 pagine
- bottiglietta di acqua naturale
- penna
- burrocacao
- crema per le mani
- sigarette
- svariati accendini (vedasi questo post)
- un astuccetto rosa peloso contenente assorbenti, Aspirina, medicinale per la cistite, medicinale per il mal di stomaco, un campioncino di fondotinta, specchietto da trucco
- gomme da masticare

voglio dire, queste cose mi servono. Mi servono realmente, nella vita di ogni giorno - o potrebbero servirmi, vedi la penna e gli svariati medicinali. Insomma, perché agli uomini non servono le borse e nemmeno ciò che contengono? O meglio, perché noi femmine ci carichiamo le spalle di oggetti di cui forse non avremmo alcun bisogno? Dite che è l'ennesima punizione destinata al nostro sesso? Io penso di sì.

Detto questo, passiamo agli aggiornamenti pratici about my life, posto che a qualcuno interessino. Sarò breve, perché a parlare di me stessa in questi termini così "concreti" non mi sento a mio agio, ma.
Ma settimana scorsa ho iniziato lo stage in un'agenzia pubblicitaria e ne sono incredibilmente entusiasta sotto ogni punto di vista, così entusiasta che ho paura a parlarne.
Ma la mia laurea è stata rimandata di qualche mese ancora a causa di un esame andato malissimo, e non è per giustificarmi ma non è stata colpa mia - e questa non è, ahimè, la sede adatta a parlarne.
Ma tutto il resto va bene, va come al solito e anche meglio, in un modo che non avrei creduto possibile - e di questo sicuramente avremo modo di parlarne.

25 settembre 2012

Il quarto d'ora femminista

Benvenuti al Quarto D'Ora Femminista!
La nuova rubrica di Banalityfair in cui si dicono un sacco di luoghi comuni sull'altro sesso e si arriva a conclusioni teatrali! 
Buona lettura!

Perché i maschi trovano sexy quei punti del corpo che noi consideriamo ripugnanti o, tutt'al più, insignificanti? Perché ci ostiniamo a curarci i capelli, le unghie, perché compriamo creme antirughe, indossiamo bianchieria intima di seta e ci distruggiamo le palpebre a suon di ombretti? Tanto loro queste cose non le guardano, loro hanno le fisse - quelle parti del nostro corpo (solitamente noi le odiamo, o le consideriamo di poco conto) da cui non riescono a togliere occhi e mani di dosso.
Parliamo delle tette grosse - ne vanno pazzi, e questa è cosa nota.
Una qualsiasi donna che porti dalla quarta misura in su vi dirà che farebbe qualsiasi cosa per farsi ridurre il seno, perché lo trova imbarazzante, volgare e scomodo.
O la ciccia sui fianchi, croce di ogni Donna degna di tale nome - tutte, anche le più magre come la sottoscritta sono dotate di piccoli cuscinetti adiposi appena sopra le natiche, è una legge della fisica.
Loro le adorano, "le maniglie dell'amore" che noi ci scarnificheremmo di dosso col machete, se solo esistesse un antidolorifico abbastanza potente - quelle che vengono segnate da tutti i vestiti che non siano di almeno tre taglie più grandi della nostra.
E quando andiamo a comprare della bianchieria intima supersexy e lui reagisce allo stesso modo di quando ci becca con le mutande della bisnonna, iniziando a sbavare, ululando e facendo gli occhi da pazzo? 
E i maniaci delle piccole cose? Che non si accorgono se ci tagliamo trenta centimetri di capelli ma vanno pazzi per quel neo insignificante che abbiamo appena sotto l'orecchio sinistro, o quel modo che abbiamo di pronunciare parole banalissime come "Grazie amore mio" che li manda letteralmente in brodo di giuggiole?

Gli uomini sono ben strani.
Ci sono quelli che s'innamorano solo delle stangone con corpo perfetto, capelli pettinatissimi, mai un pelo di troppo, che si fanno il bagno nell'Opium e hanno il cervello di una sogliola e poi si lamentano perché li tradiscono - e quelli che chiedono l'Estrema Unzione per un raffreddore ma quando hai il ciclo e sei nervosetta ti dicono di non fare scenate - e quelli che ci esci e parlano di poesia, di romanzi di Flaubert, di musica classica e di rumore del vento e poi alla prima occasione ruttano come scaricatori di porto, magari guardandoti negli occhi e subito dopo dire che con te si sentono così a loro agio - e i maniaci dello specchio, i maledettissimi di provincia, i musicisti egomaniaci, i pignoli impenitenti, gli ubriaconi e i malvagi, manipolatori, crudeli.



Ci sono uomini di tutti i tipi, penso, e penso anche che ventitre anni siano pochi per dire di conoscerli a fondo - penso anche però che ogni donna di qualsiasi tendenza sessuale essa sia non possa farne a meno, almeno uno, fosse anche il migliore amico gay che ci ruba il lucidalabbra o il fratellino piccolo per cui uccideremmo chiunque, il figlio adolescente stronzo che ci chiama "streghe" e il padre un po' burbero di cui abbiamo dentro l'immagine. Almeno un uomo nella vita serve, perché in quella sconfinata idiozia che conosciamo intorno ai sette anni, quando il migliore amico di scuola ci sputa la gomma in testa perché è innamorato di noi, io credo sia nascosta l'altrà metà del mondo, quella che ci strappa fuori le cose più belle.

14 settembre 2012

Non c'è trucco non c'è inganno!

Ci sono quelle che non si truccano, e si dividono in due categorie: chi del trucco avrebbe effettivamente bisogno (anche una ritoccatina alle sopracciglia non guasterebbe, e togliersi i baffi potrebbe essere una buona idea) e chi invece non ne ha bisogno affatto - e io queste ultime le odio, le odio sinceramente, come non ho mai odiato altro in vita mia, perché la loro pelle è naturalmente perfetta e i loro occhi sono naturalmente languidi, le ciglia naturalmente lunghe, le labbra naturalmente tumide.
E io, costretta da sempre e per sempre a puntare sulla simpatia, sono naturalmente invidiosa.
Ci sono quelle che si truccano sempre alla stessa maniera, poco e bene, tutti i giorni: un velo di cipria, una riga sottile di eyeliner, mascara sulle ciglia superiori e via, pronte per affrontare la giornata - che debbano andare agli uffici della motorizzazione o a un appuntamento con Antonio Banderas non fa differenza, al massimo puntano sull'acconciatura o sul vestiario, ma il makeup rimane quello.
Ci sono le fanatiche, ma non lo sono mai per sempre - di solito abusano per qualche mese dei tutorial su internet e per un periodo che va dalle quattro alle dodici settimane non fanno che comprare ombretti, rimmel colorati, blush in crema, lucidalabbra appiccicosi, e scialacquano interi stipendi da Kiko, sono il terrore dell'OVS, e si mettono tutto in faccia contemporaneamente.
E' una mania diffusa, io stessa ne sono uscita a fatica circa un anno fa: mi conciavo come Moira Orfei svegliandomi appositamente mezz'ora prima del solito ogni mattina per impiastricciarmi le palpebre con colori pastello accesissimi e cimentarmi nell'uso dell'eyeliner in crema - con risultati, devo dirlo, scarsissimi.
Le fanatiche tengono i trucchi in una specie di baule dalle dimensioni associabili a quelle di un piccolo monolocale arredato e hanno così tanti pennelli che potrebbero tranquillamente darsi alla pittura su tela appena la mania del make up sarà finita.
(Io, che non ho talenti se non quello di spaccare le palle, ho preso tutti i miei cimeli coloratissimi e profondamente inutili e li ho regalati alla mia migliore amica che è appena entrata nel tunnel delle polverine magiche che non si applicano alle narici, ma sulle palpebre e sugli zigomi).
Ci sono quelle che non si truccano mai ma quando si truccano lo fanno bene, e sono decisamente le mie preferite - vanno in giro con la faccia rilassata e luminosa di chi ha dormito in mezzo alla foresta pluviale, ma alla prima grande occasione sfoderano smokey eyes degni del Festival di Cannes e colori abbinatissimi, rossetti che non sbavano mai e contouring esperti che cambiano completamente la forma del viso.
E infine, ci sono quelle come me, che tutti i giorni passano venti minuti a truccarsi per dare l'idea di non essersi truccate affatto.
Il mio rito di makeup quotidiano, e quando dico quotidiano intendo che per me ha la stessa valenza del lavarmi la faccia e i denti, si compone di: fondotinta, correttore, cipria, blush, matita bianca per la rima interna dell'occhio, matita nera per la palpebra inferiore e mascara, mascara a strafottere, mascara come se non ci fosse un domani, il tutto sfumato, sfumatissimo, così sfumato che pare che non ci sia.
Insomma, truccarci non ci rende belle (per quello ci vorrebbe un miracolo, non c'è fondotinta che tenga) ma quantomeno presentabili - ed è già un risultato più che mai auspicabile.

E gli uomini, che cosa ne pensano?
Io di solito ho a che fare con quelli che si dicono attratti dalle "ragazze acqua e sapone" - perché non sanno che se io riducessi realmente i miei riti di bellezza quotidiana ad "acqua e sapone" il viso mi si staccherebbe pezzo dopo pezzo come l'intonaco delle case abbandonate, e sarei costretta a esibire la carta d'identità non solo per acquistare alcolici e sigarette ma anche solo per prendere l'ascensore, il cui uso è vietato ai minori di dodici anni non accompagnati.
Senza trucco somiglio tremendamente a Gollum, o a Iggy Pop prima della pubertà.
Senza trucco non sopporto di farmi vedere da nessuno, a malapena da me stessa.

Senza trucco però c'è chi è stato capace di dirmi "Sei bellissima", e mentiva sapendo di mentire e io sapevo che stava mentendo e non ho detto nulla, a fatica ho sorriso - e ho pensato che forse è questo, solo questo, l'amore.

5 settembre 2012

Parole chiave del mese

Ho deciso la prima settimana di ogni mese dedicherò un post alle parole chiave più carine che ho trovato, parole con cui voi lettori simpatici arrivate a questo blog.
Ho anche deciso che ogni volta che prenderò una decisione del genere dovrò trovare il modo di farvelo sapere, e pazienza se non frega niente a nessuno - quindi, benvenuti alla seconda puntata di Parole Chiaviche, per la prima puntata si veda questo post.

1) "Tengo ombelico tutto sporco yahoo"
Inevitabilmente, la mia preferita; ebbene sì, qualcuno è giunto su Banalityfair attraverso questa frase di dubbio significato - e di dubbio gusto.
Mi chiedo, "yahoo" si riferirà al motore di ricerca, o è un'esclamazione di gioia?

2) "Signore taglie forti nude"
Ecco, tra le varie maialate che si potrebbero cercare in rete questa mi fa quasi tenerezza - ho immaginato un signore sulla settantina, vedovo, che impara a faticosamente a utilizzare internet nella speranza di trovare nuovi amici, e perché no una fidanzata, e si lascia andare alle turpitudini più per curiosità infantile che per reale appetito sessuale.
Cerca "signore", lui, mica "ragazze" o "donne", e le vuole "taglie forti", lui l'ha conosciuta la guerra, la fame, e sa che i chili di troppo sono inequivocabile segno di bellezza e benessere - e nude, perché anziano sì, ma pirla sicuramente no.

3) "Frasi d'amore che piacciono agli uomini"
Beh, care quarantenni single, siete proprio nel posto giusto!
L'ultima volta che ho dormito con un uomo al risveglio anziché dirgli "buongiorno amore" ho chiesto se la maglietta del pigiama che indossava risalisse al periodo in cui era gabber - parola che, per inciso, non mi capitava di sentire dai primi anni duemila.
Forse non è una frase d'amore, ma sono quasi sicura che gli sia piaciuta.

Poi: Vanna Banalityfair, perché finalmente avete imparato il mio nome - vestito homemade fidanzata di Hercules sexy, perché il mondo è bello in quanto vario - te lo dirò francamente, perché la sincerità paga ma prepararsi i discorsi grazie a internet paga meglio - modelle taglia 68, perché alcuni non sanno che se porti la 68 sei un capodoglio, non una modella - e al terzo posto, gli irriducibili: CONCITA DE GREGORIO PIEDI, depravati che non siete altro. 

3 settembre 2012

La prima pietra

"Se improvvisamente tutti sapessimo che ci restano cinque minuti di vita le linee telefoniche andrebbero in sovraccarico, e tutti avrebbero da dire "ti amo" oppure "ti chiedo scusa"."

Ho letto questa frase su Facebook, qualche tempo fa - in uno di quei links orrendi accompagnati da foto che mostrano Converse sgualcite, o ragazze che piangono in un campo di grano.
E' una frase del cazzo, e lo so bene, maledizione lo sappiamo tutti, solo...mi ha fatto riflettere.
Pensavo che se mi restassero cinque minuti di vita e fossi costretta a fare una telefonata (in alternativa preferirei ammazzarmi subito, io detesto le attese) non avrei nessuno a cui chiedere scusa.
Non è poco: realizzare a ventitré anni di esserti sempre comportata bene, insomma, di non aver mai commesso nulla di grave, di non aver mai deliberatamente fatto del male a nessuno - e se fatto, averlo già pagato, profondamente pagato.
Mi sono sempre fatta il mazzo quadro per chi amavo, non ho mai portato rancore se non per brevi periodi, non ho mai fatto torti alle spalle - sono stata una buona figlia, una buona amica, e checché ne dicano anche una brava fidanzata: forse non so amare nel modo giusto, ma amo con tutto il cuore.
In altre parole, dopo lunga riflessione sono giunta a comprendere di essere a posto con la coscienza, e questo potrebbe essere un ottimo punto di partenza per amarmi un po' di più, che per inciso è uno dei buoni propositi dell'autunno - oltre che iniziare a portare intimo abbinato, struccarmi tutte le sere, resistere alla tentazione di mangiarmi le pellicine.

Quando l'ho capito ho tirato un sospiro di sollievo, ho chiuso gli occhi e mi sono concessa una capatina da Kiko e Bottega Verde - giusto perché quel giorno mi sentivo spirituale.

Poi ho pensato anche che verrà la morte e avrà i tuoi occhi, come una cosa inaspettata eppure sempre saputa, ma questa è un'altra storia.

27 agosto 2012

Di ritorno

"Casa è quel posto che, quando ci torni, non vogliono più che tu te ne vada". 
Stephen King

Vacanze finite, e forse era anche il caso - non che mi facesse schifo starmene a crogiolare al sole tra la sabbia ruvida della Sardegna e poi quella soffice della Sicilia, non che mi facesse schifo bere birra e mangiare arancini tra i rumori più dolci delle sere d'estate, non che mi facesse schifo guardare i fuochi d'artificio a Ferragosto o salire in macchina alla volta di Marina di Ragusa nell'aria arida e profumata delle strade siciliane, ma tornare era necessario e, devo dire, anche desiderato.
Belle vacanze, bellissime, più belle forse di quanto mi sarei potuta immaginare.
Il mare, la spiaggia, gli amici, le colazioni da campione, le cene in famiglia, la pelle abbronzata, il sole, l'odore di crema, il traghetto, gli aerei, Cosmopolitan, i lunghi discorsi sulla sabbia al tramonto con vecchi amici ogni giorno nuovi, e le nottate insonni a raccontarsi sogni erotici e psicologie spicciole, consolare una sorella minore a suon di parolacce e farla ridere, gli sms e la nostalgia che bruciava come fuoco, e la mia ultima sera di vacanza in cui finalmente ho detto tutto ciò che avevo da dire e ricevuto un abbraccio che ha raccontato amarezze nel silenzio, gli amici siciliani che presto saranno qui, e due settimane lontana da tutto: dagli stress, dai libri, dal lavoro, dalla lavatrice da cambiare, dal dolore costante di ogni giorno, dalle paure e dai compromessi che ottengo sudando con la mia stessa vita.

Tornare e riprendere in mano le cose in sospeso, coi fianchi più larghi e la pelle più bella, il viso rilassato dei ventitre anni che fatico a sentire, rivederti e scoprirti ancora più straordinario di quanto ricordassi, il mio cane che sa sorridere, il vento che muove le foglie in quello che rimane il mio giardino, la mia casa e le mie cose, ninnoli e braccialetti, libri da leggere, liste da stilare.
Tornare e, di nuovo, scrivere un post senza badare alla forma, di fretta, per farvi sapere che sono ancora qui - e che tra i progetti dell'autunno c'è quello di rendere a questo blog un po' più di giustizia, curarlo meglio, maturarlo anche un po', applicarmici con leggerezza e impegno ogni giorno, pensarlo e volergli bene, per me e per ogni lettore distratto che passa di qui.
E i progetti, le paure, gli esami da preparare, le tesi da scrivere, i lavoretti della domenica, uno stage che spero inizi il prima possibile - aspettare settembre che è il mese più faticoso e magico dell'anno, che sia il settembre della svolta che da anni attendo, un lunedì di trenta giorni in cui organizzarsi l'esistenza, illudersi ancora che tutto possa cambiare, e per una volta, una soltanto, in meglio.

7 agosto 2012

On holiday!


Ebbene sì, me ne vado anch'io alla volta delle vacanze estive 2012.
Non ho fisicamente il tempo per scrivere un post, in quanto domani parto e stasera darò una festicciola tra amici a casa mia per celebrare i miei ventitre anni appena compiuti (festicciola tra amici: probabile sbronza colossale nella speranza che tutti si divertano e che il mio guacamole non uccida nessuno!).
Dall'8 al 16 sarò in Sardegna, e dal 16 al 24 in Sicilia, quest'anno mi va così e direi che non è affatto male.

Vi auguro buone vacanze, un agosto che sia pieno di fuochi d'artificio, sbronze moleste, relax e solocosebelle.
Noi ci risentiamo a fine mese, tornerò abbronzata e felice, tornerò e come sempre sarà bellissimo.
Vi abbraccio tutti di cuore.

Vanna

4 agosto 2012

Doverosa premessa: oggi compio ventitre anni, e se la mia potrebbe sembrare una scrittura 'di getto' sappiate che non è così, rileggo ogni post che scrivo almeno una ventina di volte e altrettante volte lo correggo e lo limo - non è questo il caso, oggi scrivo una lista di nomi e di concetti senza soffermarmi troppo sulla sintassi, oggi non voglio piacere e piacermi, oggi voglio celebrare uno tra i concetti che preferisco e che è da sempre il più bel regalo di compleanno: gli amici, quanti ne ho, quanto sono importanti, quanti auguri meravigliosi sto ricevendo.
Oggi voglio celebrare la fortuna, le persone, gli affetti che non sono di sangue ma sono comunque roba mia.

Ad Angela che è la mia amica del cuore - a Veronica che è la mia migliore amica - a Giulia che è l'amica di cui vado più fiera - alle Niggartz, alle amiche leggendarie per ogni istante, ogni parola, ogni gesto - a Marta che è un piccolo sole giallo, per le sue mani, il sushi e i consigli - a Francesca e alla sua voce, le sbronze moleste e l'essersi ritrovate finalmente, finalmente per sempre - a Dono che anche se non lo amo più rimane l'amico più straordinario del mondo, la persona con cui meglio rido - a Paolo che mi deve far sapere chi devo ammazzare per avere un gin tonic - a Claude che è la sorella maggiore che non ho mai avuto - a Marco e Balbi, ex compagni di classe e parti di me - a Camilla di cui forse ho sporcato un po' la tela bianca - a Lunni che è rosa e fa diventare rosa anche me, Lunni a cui spero di poter regalare tutto ciò che ho - a Marco M.che mi vuol bene anche se non sembro di sinistra - a Daniele che è arrivato e ancora non riesco a crederci - a Will che è l'uomo dei miei sogni, il mio migliore amico, la perla più preziosa - a Monica che a settembre non avrà pace, io non avrò intenzione di concedergliela e sono certa che le andrà bene così - a Teaccia che rimane nell'anima - a Seba che ha cambiato la mia vita - a Iaia e Nino che gli hanno dato una mano - al Puggile che non smette mai di nutrirmi - a Jacopo che mi minaccia coi cetrioli e rimane con me a parlare di cose che a nessuno interessano - a Jack che si siede sul mio divano e mi fa sempre sentire bellissima - a Chiara che la conosco da vent'anni e non smette di piacermi - ad Ale che ha il cuore nero - a Fra che ha cambiato la mia vita, che ha cambiato me, che mi ha insegnato l'Amore - a tutte le ragazze di lilla vestite, loro sanno, per starmi appresso ogni giorno da anni ed essere vicine anche se lontane - a Elisa che è bella e intelligente - a Gerardo che non legge questo blog ma che è un ottimo professore di latino - a Teo perché nonostante tutto sento ancora di dovergli qualcosa - a Manuel che non si fa mettere l'eyeliner - a Marco che è stata la cosa più importante che mi sia successa - a Zep che è galante e semplicemente incredibile - a Concetta e Pietro che non vedo l'ora di riabbracciare - a tutta la banda di Gay Statale per avermi aperto gli occhi e il cuore - a Irene e Debora che non ho mai ringraziato per gli appunti e la compagnia - a Eleonora e all'infanzia mai del tutto perduta.

Doverosa postilla: agli amici, a quelli di sempre e quelli nuovi, a quelli che forse un giorno non saranno più tali, a ogni ex fidanzato, a ogni nuova conoscenza, a ogni persona che è passata di qui, a chi mi ha arricchito anche solo con un gesto e una parola - a ognuno di loro, senza esclusione, grazie di tutto cuore. 

31 luglio 2012

Light my fire

Una cosa l'ho capita, una soltanto - che gli esseri umani sono divisi in due grandi categorie che concernono il rapporto che si ha con l'oggetto più diffuso e sottovalutato del mondo: l'accendino.
Sì, è il 'rapporto con l'accendino' a dividerci in due immense famiglie che non s'incontreranno mai.

I primi sono i Possessori Affezionati, quelli che comprano un accendino carino, particolare (informazione di servizio: si vedano in qualsiasi tabaccaio ben fornito quelli con i disegni di Manara), o addirittura costoso ed elegante tipo uno zippo d'argento, e lo usano fino alla fine del ciclo di vita.
Un unico accendino, per tre mesi o per sempre, che tengono ben stretto al cuore (e alla tasca), prestandolo di malavoglia ai presenti e continuando a osservarlo con attenzione affinché non venga perduto o peggio, rubato (fate caso, di solito il Possessore Affezionato preferisce accendere le sigarette altrui con le proprie mani, simulando una gentilezza che ha il solo scopo di difendersi da eventuali furti).
Ho visto coi miei occhi persone in evidente stato d'alterazione fisica (leggasi: visibilmente ubriache) affannarsi nella ricerca paranoica del proprio accendino e rovinare la serata a tutti finché non viene ritrovato o dato per perso, disperatamente perso, come fosse un portafogli o un cellulare.
Loro sono i pragmatici, i precisi, quelli con le palle quadre, fedeli a se stessi e coerenti.

La seconda categoria è quella dei Possessori Casuali che raramente hanno tra le mani lo stesso accendino per due giorni di seguito: gli accendini loro li perdono, li abbandonano, li regalano e, sopratutto, li rubano.
Un imperativo categorico ordina di prendere l'accendino che qualcuno ci presta, infilarlo in tasca distrattamente, farlo nostro - è un gesto orribile, sporco, di cui poi ci vergognamo tantissimo...se scoperti.
E veniamo scoperti, sempre, dal Possessore Affezionato che di solito è 1 ogni 4 fumatori, e che ci odia: fosse anche un fratello, un amico, un fidanzato lui in quel momento e solo in quel momento ci odia, potesse userebbe l'amato accendino per darci fuoco.

Invece, nel caso di Possessore Casuale vs Possessore Casuale è tutto un grande scambiarsi, prestarsi, regalarsi accendini allegramente: provateci, provate a uscire, come nel mio caso, in rapporto 1PAffez più 3PCasual e guardarvi reciprocamente nelle tasche a fine serata.
Il PCasual1 si sarà impossessato dell'accendino del PCasual2, e vicecersa.
Il PCasual3 avrà perso il suo accendino, avrà rubato un paio di quelli altrui e ne avrà scoperto un altro, dimenticato, nella più piccola tasca della borsa.
Noi siamo i creativi, gli schizzati, i fantasiosi, i propositivi - noi siamo, diciamolo, i simpaticoni della compagnia.

Io, come già avete dedotto, appartengo alla categoria del Possessore Casuale, e se esistessero delle Olimpiadi per la promiscuità tra donna e accendini io forse le vincerei.




Li ho contati, sono dodici e non ho assolutamente idea da dove provengano.
So però di aver acceso la prima sigaretta della giornata con un accendino verde fluo, piccolo e con la rotellina, e di star per accendere l'ultima con un Bic di quelli grassi, di colore blu.
So che se adesso volessi cimentarmi nell'impresa titanica di svuotare le tasche di tutte le giacche, di tutti i pantaloni e di tutte le borse che posseggo vi troverei almeno altri cinque o sei accendini.
So, infine, che se Dio esiste appartiene alla prima categoria, dal momento che circa tre mesi fa ho subito la peggiore tra le violenze dell'anima: mi è stata rubata la borsa.
Ho perso il portafogli, il cellulare e la macchina fotografica nel giro di una serata, e quando il giorno dopo sono andata a riprendermi la borsa dentro vi ho trovato solo un misero accendino che nemmeno sapevo di avere, ed è la prova che se Dio esiste non solo è un attivista Possessore Affezionato, ma ha anche un pessimo senso dell'umorismo.

30 luglio 2012

All'inizio era il nome

C'è stato un momento in questo duemiladodici in cui ho saputo di aver passato lo scritto di latino.
Lo scritto di latino io l'ho dato tre volte, le prime due sono state fallimentari - dovete sapere, amati lettori, che lo scritto di latino non è un esame normale: lo scritto di latino si può sostenere una volta per sessione, ciò significa che lo scritto di latino, se non lo passi, ti blocca per i successivi quattro mesi, e nel caso spietato tu non lo passi ancora, ti blocca per altri quattro mesi e via dicendo.
La terza volta che ho dato lo scritto di latino pesavo 40kg tondi tondi.
Quando ho saputo di averlo passato ne pesavo 39, e credevo fosse una buona idea.
Quando ho saputo di averlo passato ero appollaiata sul muretto dell'aula studio a non volerlo sapere, e fumavo sigarette e berciavo cagate con la mia voce grossa, e morivo di fame e di dolore.
Quando ho saputo di averlo passato io ti ho guardato, e se la prima volta che t'ho visto forse non t'avevo visto quando ti ho guardato è stata come una cannonata in pieno petto - una cannonata avrebbe fatto meno rumore.

Quel rumore, come di temporale, nessuno l'ha sentito.
Lo stomaco si è aperto di un appetito che avevo dimenticato, le ginocchia hanno tremato di desideri che avevo ripudiato, gli occhi hanno brillato di luci che avevo spento - e ancora non so dirmi cosa sia stato; forse la tua voce, buona e gentile, che mi chiamava per nome ed era il nome quello vero, quello sostituito, buttato al macero.
Mi hai chiamata Benedetta, quel giorno, ed essere Benedetta è forse lo strazio peggiore.

E la paura divenne timore, e la voglia divenne desiderio, e l'arroganza divenne coraggio.

Le sfumature, ecco qualcosa che ho ritrovato tra gli spigoli del mondo il giorno in cui ho passato lo scritto di latino e finalmente, finalmente t'ho guardato, finalmente ho squarciato il velo e tu hai squarciato me, aprendo porte e scoperchiando quella che di me era ed è la parte più vulnerabile: la carne tenera tra l'ombelico e l'inguine, la purea organica, umida e tiepida, che ribolle tra le pieghe del cuore. 

E le rivelazioni si sono fatte spazio rincorrendosi incastrandosi tra loro stridendo nella testa fra l'ansia gelata del non poterti avere e la gioia afosa del sapermi finalmente ancora viva - e ho ricordato cose che avevo rimosso, segnali squilanti della psiche che raccontavano sogni, cose già pensate eppure mai realmente immaginate perché spietate nella loro prepotenza - e la birra scivolava fresca giù per la gola e sembrava sussurrarmi alle orecchie il coraggio, il coraggio e la voglia di guardarti in faccia e dirti con perifrasi sbagliate e anacoluti e parolacce e virgole che non erano mai al posto giusto quanto mi sembrasse crudele e gelido ogni istante là dentro che passavo senza te - e ti ho guardato scrivere, parlare, fumare e muoverti e mi sono fatta domande, data risposte - ho consumato la pelle ruvida dei polpastrelli pattinando tra i tasti del cellulare nel tentativo di trovare sempre la cosa più giusta, l'aggettivo migliore per raccontarti una qualsiasi cazzata - e un giorno tu mi hai preso la mano e la ginocchia sono diventate bollenti e ho creduto che il mio povero cervello sarebbe schizzato dalle orecchie spappolandosi sul pavimento sporco della metropolitana e sarei morta così, patetico burattino in vestito succinto e stivali, esalando l'ultimo respiro tra Palestro e Porta Venezia sotto lo sguardo attonito dei passanti accaldati.

Ed è stato prendersi le mani con le mani, e volersi senza fine, raccontarsi guardarsi ridersi addosso, scavare il proprio ventre con le dita e cavarne fuori piano quella che di me era ed è la parte più vulnerabile, la parte più bella.

14 luglio 2012

Avvelenamento

La cosa che sapete fare è meglio è dimostrare quanto ce l'avete grosso - il libro sotto al braccio.
La seconda cosa che sapete fare è meglio è scrivere tesi di laurea che suonano più o meno 'ecco, leggo questo libro e vi spiego perché è bello', mentre mendicate una manciata di minuti fuori dall'ufficio degli insegnanti di letteratura che una volta sono stati ragazzi presuntuosi come voi, proprio come voi - a loro di voi non frega un cazzo, esattamente come a voi non fregherà un cazzo degli studenti se mai arriverete a occupare quella posizione, tra la velleità di fondare una casa editrice che faccia impallidire l'Adelphi e scrivere il romanzo che Pasolini non ha mai scritto perché, sapevatelo, l'hanno ammazzato prima.
La terza cosa che sapete fare meglio è presentarvi a lezione con le vostre tracolle di pelle sgualcita, le Converse, la maglietta di sinistra all'ultimo grido e sedervi svogliati in prima fila, aspettare che il professore inizi a parlare e intanto sfogliare distrattamente una merda di romanzo neorealista stando bene attenti a farvi notare da tutti.
La quarta cosa che sapete fare meglio è appoggiare il culo sull'erba del chiostro, bere caffé e commentare la merda di romanzo neorealista di cui sopra, sentendovi molto intellettuali, molto perbene, molto letterati.
La quinta cosa che sapete fare meglio è andare al Magnolia il venerdì sera, bere e fumarvi le canne e divertirsi - sì, ma solo nei Circoli ARCI di cui siete fan accanitissimi, circoli ARCI in cui finirete a lavorare la prossima estate perché voi le mani a consegnare pizze o a pulire il naso a bambini capricciosi non ve le sporcate, però amate il popolo.
La sesta cosa che sapete fare meglio è amare il popolo.
La settima cosa che sapete fare meglio è odiare la massa - che se non ve l'hanno mai spiegato, manica di imbecilli, è praticamente sinonimo di popolo, quel popolo arrabbiato, sporco e coi forconi, il popolo che bruciava le streghe e ora guarda il Grande Fratello, la massa che odiate è il popolo che dite di amare.
L'ottava cosa che sapete fare meglio è viaggiare o desiderare di farlo - passare l'estate in Scandinavia a gelarvi il culo esplorando cimiteri e rompendo i coglioni alle renne, poi tornare a settembre e raccontare a un pubblico estasiato di deficienti quale magnifica esperienza sia stata.
La nona cosa che sapete fare meglio è andare in manifestazione, tra le ACLI e i facinorosi, con le bandiere rosse e le camicette firmate - centinaia di euro, con Mastercard; fingere di essere come gli sfortunati con le pezze al culo, invece, non ha prezzo.
La decima cosa che sapete fare meglio è sfogliare il Fatto Quotidiano ed eiaculare su qualsiasi parola sia stata scritta da Marco Travaglio.
L'undicesima cosa che sapete fare meglio è parlare di cultura, di manifestazioni culturali, di caffé culturali, di contenuti culturali, di persone che avete scaricato perché non abbastanza culturali - la cultura che millantate è preconfezionata e scontata e mediocre e imbelle, proprio come voi.
La dodicesima cosa che sapete fare meglio è fischiettare Enaudi, citare Gaber, leggere Pasolini, guardare film di Nanni Moretti.
La tredicesima cosa che sapete fare meglio è disgustarmi e impietosirmi, sempre, dal momento in cui mi sono immatricolata al corso di laurea in Lettere Moderne, Facoltà di Lettere&Filosofia, all'Università degli Studi di Milano - da quel giorno glorioso io metto piede nell'atrio, mi guardo intorno e sorridendo penso al dottor Cox.


Vi megaodio tutti, buona giornata!

8 luglio 2012

Positività ed epifanie del weekend

# In principio erano gli occhi di mio padre, piccoli scuri e lucenti - erano gli occhi dell'Amore, della Consapevolezza, dell'Autorità, dell'Ultima parola.
E poi erano gli occhi di Richi, verdi come cocci di bottiglia che sapevano vedere senza domandare.
E occhi che avessero meno passione non li ho mai cercati, non mi sono mai bastati.

# Giocavo a 'trova le differenze', tra gli oggi e gli ieri, tra due mesi fa a quest'ora e gli ultimi giorni.
Ho smesso di pregare di morire nel sonno, finalmente - forse il benessere è quel momento in cui l'idea della morte ti fa una paura fottuta.

# Nell'ultimo anno ho dimenticato me stessa, di coltivarmi, di volermi bene - nell'ultimo anno ho perso circa dieci mesi dietro a un solo esame, non ho quasi mai terminato un libro, ho smesso di leggere i quotidiani, di comprarmi vestiti, di guardare film, di crescermi.
Nell'ultimo anno ho vissuto per inerzia, ho deciso che non voglio farlo mai più.

# Voglio la certificazione in lingua inglese, voglio la patente, voglio laurearmi, voglio passare al tabacco - il tutto entro la fine del 2012.

# E' cosa buona e giusta prendersi 48 per starsene soli a pensarsi un po', a regalarci tutto ciò che è meglio per noi, quando decidi di voler cominciare una 'nuova vita', o meglio...riprenderti quella vecchia, buttando alle spalle le pigrizie le insicurezze gli slanci di codardia, lo consiglio veramente a tutti.

4 luglio 2012

III persona

"Lui le piaceva perché aveva occhi come biglie di vetro e la faceva ridere - perché sembrava comprenderla nei suoi lati più sbagliati, nelle sue psicosi più atroci, lui sapeva che era manipolabile, spaventata, insicura, eppure non intendeva approfittarsene.
Lui le piaceva perché la faceva sentire bella e pulita, normale, le piaceva perché non la compativa ma la rispettava nelle sue storie più brutte, nei suoi trascorsi più torbidi - le piaceva perché l'ascoltava parlare e si commuoveva, perché la guardava studiare e lei fingeva di non accorgersene.
Lui le piaceva perché la baciava come si baciano i ragazzini, all'improvviso e in mezzo alla strada, tra le facce indifferenti della gente - perché la toccava ed era dolce, la toccava e non sbagliava mai.
Le piaceva perché era buono, e lei era una di quelle persone che alla bontà incondizionata del mondo e del genere umano aveva smesso di credere - era buono con lei più di quanto lei lo fosse mai stata con se stessa.
Le piaceva perché si accorgeva di cose che lei cercava di celare esibendole, le cicatrici e i gesti, i morsi della fame e del senso di colpa, le palpebre arrossate, le ossa sporgenti - le piaceva perché con occhi come biglie di vetro la guardava, la vedeva, e con le mani le prendeva le mani e non diceva niente, bastava a se stesso e le piacevano i suoi silenzi, i sorrisi a denti stretti, le ciglia lunghe.

Lui le piaceva perché gli era grata di molto, moltissimo - dei chili ripresi con la forza dell'aver riempito almeno un po' quel vuoto quella solitudine quella paura quell'incapacità di dare e di prendere quell'inadeguatezza quell'arrendevolezza quell'ansia feroce del considerare ogni gesto fosse anche il più banale come un regalo immeritato un premio alla persona sbagliata.
Lui le piaceva perché era Lui, perché era vero, perché era lì.
Lui le piaceva e basta, le piaceva tantissimo."

BVC, Cose che non interessano a nessuno, edito Allanimadeli 2012. 

26 giugno 2012

Mi manchi quando sono spaventata, mi manchi quando sono infelice, mi manchi quando sono disperata e mi mordo le braccia e infilo la testa sotto al cuscino per non sentire niente - mi manchi quando sto male, così male che lo stomaco sembra stia per spezzarsi in due, quando ho la febbre, quando ho il raffreddore.
Ma mi manchi sopratutto e più che mai quando sono felice, o in procinto d'esserlo; bada bene, non credo alla felicità eterna e a voler essere sincera mi fa paura, me la sentirei male addosso come un vestito troppo stretto, parlo di quella felicità effimera e quindi meravigliosa - quella felicità che vorrebbe essere gridata al mondo, la felicità dell'avere gli occhi strani, come dice Sebastiano che ha solo dodici anni ma il mondo e le donne lui li capisce benissimo, sicuramente li capisce meglio di me.
Mi manchi quando sto bene, quando tutto ciò di cui avrei bisogno sarebbe avere il tuo numero di telefono, scriverti un sms per dirti che cos'è appena successo, come fanno tutte le figlie del mondo - mi manchi ogni giorno, ogni momento, mi manchi da sempre e per sempre mi mancherai, mi manchi nelle cose piccole e mi manchi in ogni traguardo, a ogni traguardo io ti cerco e non ti trovo e vorrei mi dicessero che è tutto uno scherzo, che siamo ancora nel 1989 e tutto deve ancora cominciare, non ti trovo ma io lo sento, lo sento che sei sempre lì, c'eri ai miei esami delle elementari e delle medie c'eri la prima volta che ho fatto l'amore c'eri ai miei diciotto anni c'eri alla maturità c'eri all'immatricolazione ci sarai alla mia laurea al mio primo lavoro 'vero' al primo figlio al matrimonio e al divorzio, c'eri, ci sei e ci sarai, questa è una cosa che nessuno puà togliermi, che dietro al velo abusato delle cose dette 'reali', dietro agli ateismi spiccioli, dietro alle leggi della fisica, io ti vedo e sei sempre bellissima.

22 giugno 2012

La prima cosa bella


La terza cosa bella sono le tue mani (proprio uguali alle mie) che mi stringono forte - la seconda cosa bella è che di chiunque m'innamori nella vita per me esiste un solo eroe e quello sei tu - la prima cosa bella è essere tua figlia, il tuo Amore, la tua bambina.
Buon compleanno papà.


18 giugno 2012

Oltre alle gambe c'è di più, parte II

Trenta secondi nella testa di una (quasi) donna single in piena sindrome premestruale:

Voglio un dolce - le mie amiche non mi vogliono bene - non ho amici - morirò sola con dieci gatti - ho le ginocchia nodose - vorrei rifarmi il mento - questa maglietta mi fa sembrare grassa - ho mal di testa - voglio un dolce - voglio anche un panino al prosciutto - quanto tempo è che non faccio sesso? - quanto tempo passerà prima che io rifaccia sesso? - non piaccio a nessuno - morirò sola nella mia merda e i gatti mi mangeranno le orecchie - ho sbagliato tutto nella vita - sono quì che guardo che mi guardo crescere la mia cellulite le mie nuove consapevolezze - avrei dovuto iscrivermi a Medicina - sicuramente avrà trovato un'altra che lo fa stare meglio di me - nessuno è meglio di me! - spero che sia grassa - spero che gli attacchi l'herpes - voglio un dolce - voglio affogare in una vasca di gelato - non ho talento - tutti mi odiano, lo so - sono lesbica - quanto tempo è che non faccio sesso? - invidio così tanto la mia amica che è fidanzata da cinque anni e sta per sposarsi - piuttosto che fare la fine della mia amica mi arruolo nella Legione Straniera - attiro solo casi umani - sono un caso umano - avrei dovuto rimanere con nomediexacaso - voglio un dolce - credo che lui mi piaccia - non uscirei mai con me stessa - la prossima volta che bacerò qualcuno sarà la mia prozia al battesimo del figlio dei vicini di casa, e sarà anche l'ultima - ora mi compro quel vestito - datemi un dolce, mi spetta di diritto - con quel vestito sembrerei un sacco di letame - sono un sacco di letame - credo che lui mi piaccia, e pure tanto - le persone sono cattive - domani vado a farmi congelare gli ovuli - sarò mica incinta? - no, non è possibile, è troppo tempo che non faccio sesso - quanto tempo è che non faccio sesso? - voglio un dolce - credo che lui mi piaccia, e pure tanto, e credo mi comprerò un dolce.

14 giugno 2012

Cose che avrei voglia di fare

Farmi offrire una birra, mangiare sushi con le mani e un goccia di salsa di soia che mi scivola sul mento, sbronzarmi e svegliarmi come mio cuggino in un fosso che gli mancava un rene, imparare a giocare a biliardo anche se non ho mai avuto la costanza di imparare niente in vita mia, ingozzarmi alla sagra del fungo e alla festa del fritto senza che mangiare somigli al camminare nuda in Piazza Duomo, senza che mangiare sia una colpa, qualcosa di sporco, da non fare - o da fare di nascosto.
E poi ripulire il giardino dalle erbacce e preparare la tavola in mezzo ai fiori e all'erba e alle lucertole che s'inseguono, ignorare il vicino di casa bestemmiatore, dimostrare il fascino perverso di un infradito con calzino, ridere fino a sentire male alla pancia tra un verso dell'Eneide e l'altro, insultare la madre di Zequila e poi promettere di non farlo mai più, sentirmi ancora spaventata e vulnerabile ma anche divertente, piacevole, empatica, fuori e meglio di me - e vagamente incredula, leggera, prepotentemente viva, e mettere su un altro paio di chili e somigliare a un panzerotto e portare gonne (imputtanirmi?) e affogare in un vasetto di funghi sott'olio e leggere Montale e lasciarmi toccare il mento, la pancia, le vertebre, le orecchie e le caviglie e vedere finalmente Kung Fu Panda, stilare liste, uccidere una per una le psicosi, chiedermi quand'è stata l'ultima volta che mi sono sentita così timida, smetterla di essere sempre frettolosa ingorda impulsiva imparando l'arte suprema dell'attendere e del valutare, del parlare del conoscere dell'avere timore, appoggiarmi a schiene più larghe della mia ma per pietà nessuno si appoggi a me!, contare perifrasi sulle dita - legarle alle falangi come amuleti, cucirle ai capelli come un rasta, sentirle tremare nelle ginocchia.

Cose che avrei voglia di fare, che ho già fatto, che sto facendo, che rifarei.
Cose che mi brillano dentro, cose che indosso, cose che sento sotto le ciglia, cose che mi prendo, cose che non credevo di meritare, cose che in effetti merito eccome, cose che.

10 giugno 2012

La doccia della domenica

Si comincia con l'accendere la luce crudele dello specchio in bagno tenendo a portata di mano non una bensì due pinzette per sopracciglia: una di forma squadrata per togliere il grosso, una appuntita per rifinire - le hai lasciate un po' perdere ultimamente, è ora di cambiarne la forma, rendile più sottili, più dure.
La pelle dell'arcata sopraccigliare è come se non fosse più tua, negli anni è diventata insensibile al dolore e si arrossa appena; a lavoro finito, e ci vogliono sempre quindici minuti circa, sciacquati il viso con acqua tiepida e sapone neutro, lentamente, godendo della schiuma tra le dita.
E' il momento della maschera per il viso agli agrumi, spremila sulle mani e poi accarezzati il volto e il collo, piano, con movimenti circolari - cela i lineamenti, abbonda col prodotto, non essere avara, e ora guardati, la faccia è bianca e solo gli occhi sono neri, immensi, medita se farti una foto da postare su facebook per recitare la parte che preferisci, quella della 'tipa alla mano che sa prendersi in giro'.
Lascia stare, la vasca è quasi piena d'acqua bollente e profumata, hai versato un quantitativo generoso di bagnoschiuma al muschio bianco, la schiuma invoca il tuo nome, sei già nuda e immergi il piede destro, poi quello sinistro, e ti siedi, t'inabissi fino alle scapole e chiudi gli occhi, lasciando che la maschera di bellezza faccia effetto - la senti penetrare nei pori, rassicurante e fresca, quando inizierà a bruciare potrai sciacquarla via di prepotenza, il getto della doccia ben puntato sulla fronte, e aspettare che scivoli tutta nell'acqua che si sta intorbidendo.
E' giunto il momento d'insaponarsi con calma, si comincia dalle braccia, poi le spalle, il seno, la pancia, l'inguine, le cosce e i polpacci - i polpacci hanno bisogno di una passata lieve di rasoio, il rasoio è una carezza ruvida che fa la pelle levigata, i tuoi piedi sono appoggiati al bordo della vasca, li guardi e sono piccoli e perfettamente rosa, sono piedi di bambina che piacciono agli uomini, che piacciono a te, li insaponi piano canticchiando un melodico De Andrè.
Riprendi tra le mani il doccino, lo passi tra i capelli, e poi riempi le mani di shampo alla camomilla per rendere le chiome più chiare - rimpiangi quei giorni in cui un flacone durava forse due settimane, avevi i capelli lunghissimi, ora basta una goccia delle dimensioni di una moneta, frizioni lentamente il cranio, insisti sulla nuca e dietro alle orecchie, emulsioni con acqua e guardi la schiuma cadere in larghe goccie bianche e concentriche.
Risciacqui, senza fretta, che non rimanga nulla, e quando non c'è più rischio che tu possa ingoiare lo shampo ti riempi la bocca d'acqua, la sputi in aria, fingi di essere una fontana - togli il tappo, guardi il tuo corpo riemergere lentamente dai flutti domestici, lo risciacqui, ti alzi in piedi: sei nuda, bagnata e vulnerabile, sgoccioli a ogni movimento.
Ti avvolgi nell'accappatoio, nell'unica tasca disponibile infili la crema per il viso, quella per il corpo, il deodorante - resti nuda in piedi in camera tua, avvolgi la testa in un asciugamano, prima il viso.
Immergi un polpastrello nella crema al cetriolo, generosamente pattini con le dita sul volto, a occhi chiusi, e poi infili i pantaloncini, la maglietta del pigiama, passi il deodorante stick sotto le ascelle, i polpacci iniziano a pruderti - il prezzo da pagare per la passata di rasoio; la crema per il corpo è quella da grande occasione, quella di Chanel, la spalmi con calma dalle ginocchia alle dita dei piedi ascoltando colonne sonore della Disney, ti soffermi a godere dell'acuto di Megara (io sento dentro 'puoi fidarti', mentre la testa mia 'non lo fare') e sorridi tuo malgrado.
Sei pronta.
Idratata, profumata, pulita - per qualche ora, solo qualche ora...senza peccato.

Dio non mi ha concesso il dono della Fede, in questo giorno che è un giorno santo io non sono invitata alla sua mensa, non ho modo di liberarmi dai miei peccati, e non ci sono parole di Cristo che possano salvarmi - ciò che mi rimane, l'unico Rito che ancora mi concedo è la doccia della domenica, che lavi via tutto quanto accumulato nella settimana appena trascorsa (smog, nicotina, alcolici, bestemmie, delusioni, risultati, battiti di cuore, battiti di ciglia, spaventi e rivelazioni) e aiuti ad affrontare degnamente quella che invece è in arrivo.
E buona settimana a tutti.

9 giugno 2012

Sull'ammore (monotematismi e vago benessere)

Sto cambiando, me lo sento nella pelle - e spero mi venga perdonato il monotematismo degli ultimi giorni, ma questo è un blog senza pretese, un 'caro diario' e scrivere per me non è mai stata un'arte quanto piuttosto un modo per fare ordine tra le cose, per spolverare superfici e guardarle nella loro interezza.
Sto cambiando, me lo sento nella pelle - mi è stato detto da A alla sagra del cinghiale, stappando una bottiglia di vino e facendo confessioni pericolose, i suoi occhi erano preoccupati e limpidi e i miei erano nascosti dalle ciglia e spaventati, ma il fatto che io stia cambiando per una volta (la prima?) non mi fa paura.
Sono giorni che tento di scrivere un post, ne avrò scritti forse una dozzina, uno diverso dall'altro eppure tutti per dire la stessa cosa: che sto bene, fondamentalmente non c'è altro.
Non è un 'bene' che abbraccia la totalità della mia esistenza, studio e lavoro e sto con mio padre e faccio le pulizie e faccio la spesa e sono sempre un po' troppo magra e bisticcio coi miei capelli, non ho vinto all'enalotto nè ho trovato un nuovo fidanzato che abbia tutto ciò che desidero in un uomo (che legga e che scriva, che sappia cucinare, che mi faccia ridere, che si prenda cura di me - così, a titolo informativo!), Vanity Fair ancora non mi ha assunta come direttrice e nessuno mi ha regalato un carlino.
Quindi sì, sto bene nei limiti e coi limiti - i miei.
Sto bene, ed è questa la cosa più straordinaria, è questo il cambiamento che sento il bisogno di celebrare, che racconto alle persone: sto imparando a stare bene malgrado la perdita, nella perdita, e sto bene senza palliativi, senza placebo che di solito avevano un nome, un cognome, un odore, una carezza per me.
La verità è che per tutta la vita non ho fatto che passare da una storia all'altra e non per paura di rimanere sola, ma per evitare di affrontare a viso aperto il dolore che quell'addio avrebbe procurato, e ora che di quel dolore ci ho riempito le notti, le ore, gli sms tra amiche mi accorgo che non era, non è nulla di così impensabile, intollerabile.
E' un dolore come un altro, sordo e costante, ma scivola via, e avrei dovuto impararlo - l'ho imparato per cose che sono peggiori di questa, peggiori di una storia che finisce semplicemente perché non è mai andata, eppure so nuotare a braccia larghe in oceani di merda e perdermi in bicchieri limpidi di acqua vischiosa come tutte le lacrime che ho (giustamente) versato negli ultimi mesi.

Il mio letto è vuoto, e non mi è mai sembrato così accogliente.
Il mio letto è vuoto, posso dirlo, sono sola.
Lo sono totalmente, senza storielle di una notte, senza intrallazzi vari ed eventuali, senza nessun desiderio o esigenza di averne; il mio letto è vuoto, e non ho proprio voglia di dovermi sforzare per riempirlo, e non è nausea da uomini o da sesso o da sentimenti, non è paura di essere ferita, non è femminismo improvvisato, è un'esigenza, un imperativo categorico a cui per anni mi sono sottratta coprendomi le orecchie con le mani e strizzando forte gli occhi.
Sola, per fare quello che mi pare.
Sola, per riflettere sulle cose.
Sola, per ridere e scherzare con gli amici, o fermarmi a bere una birra dopo l'università senza stare sempre attaccata al cellulare, raccontare a qualcuno dove sono, cosa sto facendo e con chi.
Sola, per capire ciò che voglio e in effetti lo so già: voglio un amore che sia diverso, che nasca in modo diverso, voglio un amore che non si erga prepotente dalle macerie di una storia appena conclusa, ma che arrivi silenzioso e quieto senza sbattere le porte, inaspettato eppure educato, consapevole, che non abbia la forza di una cannonata in pieno petto ma il rumore invariato e potente di pioggia, tantissima, che cade, che pulisce le cose, che pulisce il mondo - che pulisca me.
Voglio un amore, e lo avrò quando saprò riconoscerlo, che faccia frullare il cuore e chiudere lo stomaco ma senza romperli entrambi - voglio conoscere, conoscere bene, la prossima persona con cui deciderò di condividere tempo, sesso e percorsi, voglio essere scelta e voglio scegliere un amore che sia grande e che sia vero, che nasca dal desiderio e non dalla paura.
Voglio un amore che sia desiderio, che faccia attrito rendendo i capelli elettrici.
Voglio un amore che squarci il buio, che squarci il velo, che squarci me.

5 giugno 2012

Cose che sono stata capace di fare

(Ora che ci penso, la verità è che non ti penso)

Correre in bicicletta, ubriacarmi, ridere, abbracciare un'amica, abbordare una ragazza, imparare parolacce in tedesco, andare a un concerto, comprare sigarette, offrire birre, offendermi a morte, passare finalmente lo scritto di latino, inventare zio Gerberto, ordinare pizze, stappare bottiglie alla sagra del cinghiale, ascoltare 'Certe notti' cantata da una donna e che donna, aspettare mio padre, redarre testi, comprare un biglietto per la Sardegna, leggere poesie, mettermi un vestito, riprendere a mangiare anche se con fatica - e sopratutto sentire ancora qualcosa, qualcosa sul fondo del cuore, come un brivido silenzioso e del tutto inaspettato, che mi terrorizza che mi rende vulnerabile che mi fa gli occhi luminosi, qualcosa che non ha un nome ma c'è, è lì, a ricordarmi che certe cose non possono essermi portate via.

(Ora che ci penso, la verità è che non ti penso)

2 giugno 2012

Di foglie e di colpe

Crudele Amore, a che cosa non forzi i cuori degli uomini.
A scendere ancora alle lagrime, ancora a tentar le preghiere
è costretta, a piegare l'orgoglio, supplicando, all'amore,
per non lasciar nulla intentato, per non vanamente morire.
(Eneide, Libro IV)

Epifanie mentre correvo per una Milano afosa in bicicletta e mi perdevo tra le facce aride delle persone allora scrivo, e scrivo, e scrivo, per raccontare favole della buonanotte o solo per togliermi di dosso un po' di rancori - e penso a tutte quelle volte in cui mi divertivo ridevo stavo bene nel caotico mondo che è la mia vita e no, non son solo battiti di cuore ad affliggermi e sì, sì lo so cosa si prova ad avere i presunti 'problemi veri' e no, non è da me fare la vittima, tutte quelle volte in cui mi divertivo ridevo stavo bene e tu non c'eri, o meglio c'eri ed eri lontanissimo anni luce e la colpa è sempre e solo stata mia, io che non riuscivo a comprenderti io che non ti amavo abbastanza io che non ho mai avuto sufficiente pazienza per salvarti da quel sacco nero in cui hai deciso consapevolmente di soffocarti da solo, con gli anni negli anni.
E quelle altre volte in cui mi sono sentita puttana pesante esigente antipatica infedele odiosa arrogante prepotente insensibile e sopratutto puttana, puttana e ancora puttana, così mi sono sentita e l'ho accettato sospirando forte perché per te avrei accettato qualsiasi cosa - mi guardo indietro, so di averlo fatto.
Ti ho amato più di tutto e tu hai amato me, e non parlerò delle cose bellissime perché quelle sono mie, mie e di nessun altro, non parlerò dei tuoi occhi che sono sempre stati color dell'oro o della realtà che sembrava farsi più densa e concreta quasi volesse scoperchiare il mondo ogni volta che facevamo l'amore (e ti mordevo le spalle, soffocavo in un grido il tuo nome, vedevo lampi di luce bianca, e avevo crampi alle dita dei piedi e brividi di ghiaccio ghiaccio bollente lungo la schiena) o dei weekend in campagna cullata dal canto delle cicale e dal tuo respiro profondo e maschio e ingombrante , non racconterò di istanti in cui ho creduto di essere in paradiso solamente perché mi stavi tenendo la mano; tutto questo ora non mi serve - ci sarà tempo per ricordare che bello è stato, ma ora devo riprendermi e stringermi forte da farmi male e per riuscirci ho bisogno di provare rancore e odio e veleno e poi sputarli fuori, guardarli morire sull'asfalto lentamente.
Avrei fatto qualsiasi cosa - l'ho fatta - non ci sono riuscita.
E' questo a ferirmi di più, è questo che mi sta lentamente ma inesorabilmente rendendo arida e sterile, nemica giurata di un sesso che ho sempre amato, intollerante agli uomini ai loro egoismi ai loro mondi in cui è difficile entrare alle loro violenze alle loro parole a quella capacità amara che hanno di farti sempre sentire una donna e come tale colpevole, colpevole fino a prova contraria e quella prova contraria non arriva mai, e anche arrivasse io donna riuscirei a ignorarla mettendomi le mani sulle orecchie e cavandomi gli occhi.
Ti ho amato ti amo e ti amerò sempre per un'infinità di cose che non starò a elencare; ti ho odiato ti odio e ti odierò sempre per come mi hai lasciata andare, per i pretesti che hai saputo afferrare, per quelle sere etiliche in cui volevo essere una ragazza, la tua, sorridente e felice e invece sono stata lapidata da silenzi densi e gravidi di offese malcelate con l'unica colpa eterna e immutabile dell'essere me.
La colpa
La colpa che non c'è, ma che non riesco a levarmi di dosso - Eva mangiò la mela e io mangiai la foglia per giorni per mesi per anni per ore che sembravano lunghe un secolo, spossanti come un viaggio a piedi nudi, mangiai la foglia e non mi accorsi che era avvelenata, all'ora non lo sapevo e adesso lo so.
Lo so di non esserti mai piaciuta del tutto, di me hai amato un qualcosa che non c'era, che avrebbe potuto essere e non è stato perché io per prima non volevo che fosse; la persona che hai amato non c'era e se c'era non mi piaceva, la persona che sono forse non è mai stata all'altezza ma fidati fidati ci ha provato a camminare sui trampoli per assomigliare almeno un po' a qualcosa che andasse bene a entrambi.
Non ci sono riuscita, non ci sei riuscito, non ci siamo riusciti.
E per quanto riguarda le tue, di colpe, come si fa? - le conosco, le elenco alle amiche, le dico a me stessa ogni giorno, le scrivo persino, eppure sono parole vuote, bolle di sapone che scoppiano bruciandomi gli occhi quando tento di afferrarle.
Colpa mia della mia parlantina rapace delle mie parolacce al vento dei miei aneddoti surrealisti della mia ossessione per gli odori altrui della mia estenuante ricerca di piacere sempre a tutti dei miei abiti a volte troppo discinti dei miei abbracci dei miei momenti di gloria della mia persona così pateticamente esposta e vulnerabile e nuda agli occhi della gente - amo la gente e la gente mi ama e questa non è una colpa, eppure per te lo era e la cosa peggiore è che mi sono convinta lo fosse sul serio, e ora lo penso, e ora mi guardo e mi accorgo che è per questo che ti ho perso: non ho saputo liberarmi di me stessa, non sono riuscita a sacrificarmi sul tuo nome, non ho pensato valessi abbastanza.

Ho dovuto scegliere e ho scelto me - e se un giorno mi dirò che è sano, se un giorno mi dirò che è giusto, se un giorno dimenticherò che cosa si prova nel sentire sulle proprie spalle il peso di una colpa così grande, appiccicosa, asfissiante e sgradevole allora forse capirò che è stato meglio così.
Fino a quel giorno qualcosa di me continuerà a detestarsi e volersi far male, raschiare gli zigomi contro a un muro e spezzarsi le dita nel tentativo di afferrare il mostro che ho dentro, scarnificarlo e sputargli addosso mentre muore solo per poterti guardare in faccia e dirti orgogliosa che sì, ora sono come tu mi vuoi.
Fino a quel giorno che sarà un giorno bellissimo io sentirò la colpa, e quando non la sentirò più vorrà dire che il fantasma di questo amore conclusosi nel modo più brutto se ne sarà andato, portandosi appresso ciò che era di me la parte più vera - e se crescere vuol dire anche limarsi e rinunciare io lo accetto, posso accettarlo, solo avrei preferito non doverlo scoprire mai, non così, non con te. 

31 maggio 2012

Le donne normali, parte II

Ebbene sì, è successo di nuovo. Per chi non lo sapesse, l'argomento mi sta a cuore e ne parlai in questo post, forse meno di un mese fa. Di nuovo, una bonazza patinata in copertina che ci dice che le donne vere non portano la 38, e francamente ne ho abbastanza le palle piene. No, non ho intenzione di ripetermi, fare un'altra polemica inutile su quanto sia offensivo leggere le parole della strafiga di turno (e in questo caso stiamo parlando di una strafiga che mi piace moltissimo, come attrice e come donna) che viene a spiegarci dall'alto dei suoi miliardi e del suo successo cosa sia 'vero' e cosa no, cosa sia 'normale' e cosa invece sia irrimediabilmente sbagliato e sgradevole.
Ma voi avete idea di quanto io possa essermi sentita offesa?
Santocielo, credevo ci fossimo evoluti, credevo che i luoghi comuni sulle bionde cretine, le rosse puttane e le magroline poco autentiche fossero ormai storia passata - invece no, invece di nuovo a sparare puttanate su come dovrebbe essere una donna per essere bella, vera, normale o salcazzochecosa
Quindi, siccome ancora non mi sono iscritta a qualche corso intensivo di yoga per risolvere i miei problemini di collera e in questo momento ho le vene del collo che mi pulsano tipo Adriano Pappalardo quando sbraitava 'Ricominciamo', vi dimostrerò una cosa, e per farlo dovrò sacrificare quel poco che rimane della mia dignità e del mio pudore...nella speranza che ne valga la pena, in caso contrario lapidatemi pure.


Foto odierna: ancora a letto, il ritorno di Gesù Cristo.

Foto odierna: sveglia da pochi minuti, senza nemmeno essermi lavata la faccia.
Ciao a tutti, mi chiamo Vanna e guarda caso porto una 38, mi faccio gli autoscatti appena sveglia e completamente struccata, non mi vergogno delle mie costole né dei miei capelli privi di senso, non ho una troupe di fotografi e truccatori professionisti nascosta nell'armadio, e Vanity Fair non mi metterebbe in copertina neanche quandi farà freddo all'inferno.
Sono Vanna, sono vera e normale e porto una 38 e a volte mi cola il trucco e se percaso dimentico di depilarmi vengo scambiata per un orsetto marsicano, sono Vanna , sono vera e normale e imperfetta e proprio per questo motivo non verrò a raccontare a voi quale taglia debba portare una donna vera e normale e imperfetta, perché non lo so nemmeno io, e anche lo sapessi non sarebbero affari miei.


Sono Vanna, porto una 38 e alla faccia di Kate Winslet non solo sono irrimediabilmente vera, sono anche bellissima, bellissima così - e sono certa che lo siate anche voi, lo siamo tutte quando ci sforziamo di crederlo, fidatevi di chi l'ha voluto imparare a ogni costo per non soccombere, fidatevi di me.

29 maggio 2012

Il ragazzo di sinistra, parte I

Il ragazzo di sinistra è una specie umana assai diffusa, sopratutto nella mia vita; ne esistono di due tipi: il Wannabe Radical Chic e il Wannabe Punkabbestia, e sono uno più simpatico dell'altro.
Il ragazzo di sinistra Wannabe Radical Chic indossa Clark, non porta mai t-shirt (fanno eccezione le polo, in piena estate, dai colori smorti come il cachi, il beige o il verde spento) preferendo le camicie, meglio se a quadretti, con le maniche elegantemente arrotolate su avambracci magrissimi e pressoché glabri, da fighettina senza nerbo.
Questo determinato tipo umano di solito ha parecchi capelli, e li ama quasi quanto ama il suo pene e tutti i libri di Pasolini; è fermamente convinto di poter conquistare ogni donna (purché sia di sinistra!) solo guardandola languidamente mentre gira le pagine di un qualsiasi libro politicamente impegnato, citando Guccini come non ci fosse un domani e invitandola a eventi pidocchioso-culturali in circoli ARCI di dubbio gusto e di dubbia ubicazione, essendo le vie centrali decisamente troppo nazionalpopolari meglio andare a infilarsi nei più torbidi locali di Famagosta a raccontarci quanto ci manca Gaber.
Il ragazzo di sinistra Wannabe Radical Chic è pieno di sé al punto che se leggesse questo post penserebbe di me che sono una specie di Chiara Ferragni particolarmente velenosa, dai capelli ossigenati e le scarpe firmate, e che gli preferirei un figlio di papà azzimato e bauscietta, mentre lui punta a donne di un certo livello, prima fra tutte Concita De Gregorio di cui, ne sono sicura, cerca le foto dei piedi su Google quando si sente solo.
Sì, perché il Wannabe Radical Chic è raffinato in tutto ciò che fa: i libri che legge sono sempre i più di nicchia, i film che guarda sono sempre i più concettualmente esaltanti, le donne che si porta a letto sono sempre le più interessanti, e i suoi gusti sessuali raramente sono gli stessi di quelli del volgo.
Il Tipo in questione non dirà mai di una donna che ha un bel seno, o un bel culo, o una bella bocca: lui vi dirà che di una donna guarda tendenzialmente i piedi, le unghie, le sopracciglia e i tendini, tettecculo son cose da poveracci - di portafogli e di spirito.
Il Wannabe Radical Chic non dorme, riposa.
Non mangia, degusta.
Non beve, sorseggia.
Non studia, s'istruisce.
Non lavora, ma s'impegna politicamente affinché il mondo del lavoro possa essere migliore per tutti, perché il Radical Chic vi dirà sempre, in qualsiasi periodo storico, che non c'è lavoro.
E se gli chiederete quale tipo di lavoro va cercando, senz'imbarazzo alcuno vi risponderà che lui ci ha provato, hai voglia se ci ha provato, a farsi assumere come amministratore delegato dell'Adelphi ma proprio non l'hanno preso, sistema ladro e mafioso e capitalista e squallido che non premia i giovani di talento dall'ambizione vorace (e il cervello pieno di ovatta).
Inoltre, i Wannabe hanno il senso dell'umorismo di un opossum morto, sono permalosi e vanesi, e fondamentalmente incapaci di prendersi responsabilità: alle responsabilità preferiscono il vittimismo gretto e la superbia senza freni inibitori, probabilmente se potessero clonarsi passerebbero la giornata a palparsi il sedere e a dirsi quanto sono belli.

Vi sono solo due luoghi al mondo che permettono a questa specie di sopravvivere e proliferare serenamente, dato che oltre a quanto già elencato son misantropi di natura: i circoli ARCI di cui sopra e naturalmente le università, di solito alla Facoltà di Lettere&Filosofia e/o Giurisprudenza.
Alla Statale di Milano infatti abbiamo la più grande riserva italiana di questa razza che non si sta affatto estinguendo, è facile osservarli in Chiostro ogni giorno a guardare sottecchi e con disprezzo i loro cugini di secondo grado (i Wannabe Punkabbestia, di cui parlerò in seguito) e con vaga compassione tutti gli altri.
Ma se percaso compare una ragazza (una ragazza di sinistra!) a pochi metri dal loro perimetro allora eccoli i novelli Bertinotti farsi re della scena, con passo felpato tirar fuori dalla tracolla in similpelle un volantino rosso e un invito galante a qualche evento delcazzo, come dicono a Oxford, dal titolo sempre ambiguo, e sempre pallosissimo: 'Il Nome della Prosa, letture di testi civili da Umberto Eco a Asterix&Obelix', 'Harry Potter e il camice di Monti, aperitivo letterario e riflessioni sul piccolo mago fascista', 'Come essere di sinistra e scisci senza ostentare troppo la grandezza del portafogli e del pene', e vai di sorriso incantevole e spiegazioni sommarie, il tutto condito da lunghe lunghissime occhiate ciglia contro ciglia (come già detto, loro non sono superficiali, loro le donne le guardano negli occhi) e lo scambio dei contatti Facebook, 'anche se non lo uso mai'.

E le ragazze, oche che non sono altro, invece che fare la cosa più furba (scappare urlando che la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca) di solito ci cascano e ci cascano con tutte le scarpe, fino a che il Wannabe non le lascerà col cuore spezzato dicendo loro che purtroppo è la società a privarci della voglia di avere una relazione stabile, e io ti amo ma amo di più il Neorealismo, non possiamo stare insieme devo unirmi ai Nuovi Partigiani, e davvero ci tengo tanto a te ma se voglio vincere queste elezioni universitarie dovrò andare a letto col Magnifico e mi spiacerebbe farti male.

Il Wannabe RC ha il suo fascino, è vero, ma è un fascino finto e preconfezionato tale e quale a quello dei dolci industriali: a guardarli ti sembrano buonissimi e pieni di gusto, ma se ne mangi uno ti nausea quasi subito e non avrai mai voglia di provarne un altro, perché fondamentalmente sono tutti uguali, asettici e finti, van bene giusto per le serate in cui la fame da eccessi di alcol e droga rimbambisce le pareti dello stomaco, ma francamente nessuno li mangerebbe ogni giorno per colazione.
Io preferirò sempre un cornetto caldo, grasso e simpatico: costa di più ed è raro trovarne di buoni, sporcano le mani e ti riempiono di briciole e di zucchero a velo, saranno dozzinali...ma almeno sono autentici, e proprio perché sono cucinati freschi ogni giorno nessuno è mai uguale all'altro, ognuno ha un sapore che è tutto suo e che può farti felice per un giorno intero - con quegli altri, quelli di cui sopra, magari al momento ti sembra di goderci un sacco, ma alla lunga non ti restano altro che calorie da bruciare, saporacci sul palato, e sensi di colpa da gestire.