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24 ottobre 2013

Cuore di cane

Ho dovuto farlo. L'ho lasciata andare. Sono passate poco più di 48 ore, e dovranno passarne molte altre prima che io mi senta bene. Prima che io oltrepassi il lutto. "Era solo un cane". Solo un cane. Non l'avete mai letto, voi, Il Piccolo Principe. 
Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
Ed è lei che ho accudito, ogni giorno, per diciotto anni. E' lei che ho tenuto sul divano, tra le braccia mentre guardavo la televisione. E' lei che mi svegliava alle quattro di notte perché aveva fame, aveva sete, aveva voglia di uscire. Ed è lei che mi amata, tanto, come gli animali. E i bambini che, del resto, sono cuccioli. Lei mi ha amata incondizionatamente, per quello che ero. E a me bastava darle da mangiare per sentirmi la persona più importante, più magnanima del mondo.

Mi sono presa cura di lei perché era piccola, perché era buona, perché mi faceva ridere. E' stato per le orecchie a sventola, le gambe storte, e gli occhi dolci che aveva, è stato per il suo modo di muoversi, di comunicare, di dormire. Per tutte le ore passate insieme quando ero bambina e figlia unica, e lei era un Pokémon, un dinosauro, un bebé. Era tutto quello che le chiedevo di essere, e mi ha insegnato a stare con gli altri, a prendermi cura di loro, è lei che mi ha accompagnata nei lunghi pomeriggi d'estate, ha leccato le mie ginocchia sbucciate (e papà non ne è stato entusiasta) e mi correva dietro, quando pedalavo forte nei miei 9 anni sulla prima bicicletta, quella da maschio, blu. Abbiamo avuto tempo, ne abbiamo avuto tanto - ma un certo Eugenio mi ha insegnato che quando qualcuno che ami muore il lungo viaggio è sempre breve. E io e lei insieme forse un milione di scale le abbiamo fatte sul serio. Quelle di casa mia, che portano alla mia stanza, per diciotto, lunghi anni. Insieme.

Su quel tavolo di ferro sembrava molto piccola. Negli ultimi anni aveva perso troppi chili, era vecchia, rimbambita, mezza sorda e mezza cieca. Ma c'era. Eccome se c'era. Correva, mangiava, beveva, era autonoma. Acciaccata, ma arrogantemente viva, vitale. Ha avuto un'ischemia dovuta all'età avanzata, l'ho portata dal veterinario e ho fatto la cosa giusta, la cosa che andrebbe fatta. Ma mica solo con i cani. A mio modestissimo parere dovrebbero poterlo fare tutti. Qui lo dico: se il cervello si spegne, vi prego, lasciatemi morire. Il cervello è tutto quello che ho. 

L'ho accarezzata tutto il tempo. Il veterinario è stato professionale e gentile, mi ha lasciata abituare all'idea. Mi ha lasciato tanti minuti, preziosi e indimenticabili, per tenerla vicino. Ho fatto tutto quello che ho potuto. Ho teso ogni nervo affinché lei capisse. Affinché lei vedesse insieme a me, come in un fottuto film, i momenti di una lunga, felice vita insieme. La sua è finita due giorni fa, intorno alle 19, su un tavolo di ferro in cui sembrava molto piccola. E molto stanca. 

Si chiamava Lilli, era il mio cane e io le volevo bene. Era un cane. Solo un cane. Ma no che non la scambierei con un bambino. Con nessun bambino. Nemmeno con il vostro. Forse un giorno la scambierei con il mio, ma ora come ora no. Posso accettare che fosse vecchia, posso accettare che se ne sia andata serenamente, al momento giusto, in pace, senza soffrire, ma non accetterò di sentirmi dire che era solo un cane. Lei si chiamava Lilli, era il mio cane, e io la amavo da impazzire.


Ti auguro un viaggio sereno, bambina mia. E più di tutto mi auguro che tu sia stata felice. E secondo me lo eri. Eri felice quando ti cantavo che "è l'ora della maialina al burro al burro di arachidi di arachidi" e quando ti compravo i tuoi biscotti preferiti, quando ti tenevo al mio fianco e ti accarezzavo la schiena, ed ero felice anch'io. 

29 settembre 2013

Un blog all'antica

Ciao lettore. Per scusarmi del fatto che sono sparita per due mesi mi giustificherò raccontandoti una storia sentenziosa e lacrimevole. Goditela.

La prima volta che ho aperto un blog avevo quattordici anni, era il 2003. Ne sono passati dieci, e mi sono resa conto che internet è cambiato, e io certe cose non so più farle. Non so adattarmi alla filosofia dello smartphone, infatti non ne ho uno. Mi terrorizza l'idea di essere always connected e sebbene io lavori nel digital/social quando stacco mi piace beh... Staccare. Stendermi davanti alla televisione, leggere un libro, affacciarmi alla finestra e spiare nelle case degli altri, pensare ai cimiteri. Insomma, cose normali.

Sulla promozione di sé stessi io non credo di essere del tutto sul pezzo. Mi piace farlo per lavoro, ma io non sono un brand. Io sono una persona, e non voglio che la mia intera vita sia sbattuta su internet. Non è questione di privacy, ma di tempo. Nel mio tempo libero non voglio fare la blogger. Nel tempo libero io voglio fare la Vanna e la Vanna, da che mondo è mondo, un blog ce l'ha sempre avuto.

E poi c'è l'imbarazzo, è più forte di me. Mi imbarazza da morire pubblicizzare i miei post, condividerli a cannone, obbligare tutti voi a considerarmi. L'internet è cambiato, e sono cambiata io. Quando ero un'adolescente ero molto egocentrica, ora penso semplicemente che le persone abbiano di meglio da fare che leggere, ascoltare, considerare me. Non è vittimismo, solo un dato di fatto che accetto serenamente.

Perché non posso scrivere e basta? Perché non posso fare come nel 2003, quando il blog era solo il diario online? Io ci faccio quello che mi pare, non sono qui per piacere a nessuno. E invece dovrei buttare il blog su tutti i social network, sì persino su Linkedin, come fosse una qualifica. E dovrei sfruttare la mia immagine, truccarmi per sessioni di "selfies" davanti alla webcam, farvi vedere quanto sono carina mentre la luce della lampada mi scartavetra i lineamenti. E sono carina, sì, perché del resto mi si vedono solo gli occhi e gli occhi, almeno quelli, ce li ho belli. E truccati. Per fotografarmi davanti alla webcam. Oggi i blog, e i blogger, sono tutti un po' così e io mi rendo conto di non esserne capace.

Io davvero ne ho la bacheca piena di foto degli altri, delle altre sopratutto. Insomma, a volte io passo 40 minuti a torturarmi sul pubblicare o non pubblicare un autoscatto insignificante (vedasi foto), ho sempre come la sensazione di... Di risultare ridicola. E probabilmente lo sono. Poi le pubblico lo stesso perché lo fanno tutti, perché lo facevo anche nel 2003 e non credo che ci sia niente di male, ogni tanto, nell'usare uno strumento di comunicazione come internet per trovare delle conferme. Non ce ne dovrebbe fregare un cazzo dell'opinione degli altri? Può darsi. Io non ci riesco, a me di quello che pensano gli altri, non tutti, gli altri - beh un po' mi interessa. Parecchio. Ma non me la sento di fotografare la mia intera vita e poi farla vedere a tutti, com'è bellissima con il filtro old style. Sinceramente. Mi sono sempre reputata una persona abbastanza "dipendente" da internet e da tutto ciò che è social network, perché dal 2003 non solo apro blog, ma frequento forum, che sono gli antenati di Facebook e compagnia cantante. Eppure la mia idea di internet per quanto riguarda i blog è ferma al 2003. Questo è il mio diario. Ci scrivo quello che mi pare, quando mi pare, non sono qui per piacere a nessuno.

Per fare le blogger di successo è basilare avere una webcam. Io ce l'ho, ma non la uso (quasi) mai. 

Che poi nel 2003 non si stava mica neanche tanto male. Non c'era la crisi, e nemmeno Real Time TV. Non c'era nemmeno Facebook, e quindi io probabilmente non avrei un lavoro. O ne avrei un altro meno bello. O più bello, chi lo sa. Non tornerei nel 2003, perché anche se andavano di moda le gonnelline scozzesi che mi stavano da Dio io sono contenta della vita che ho ora, e di alcune cose che ci sono ora: la legge antifumo nei locali pubblici (e lo dico da fumatrice), X Factor, i jeans elasticizzati. Del 2003 rimpiango i miei quattordici anni, i miei pomeriggi dopo la scuola e il mio blog. E siccome i primi due non torneranno mai più, cerco di recuperare almeno il terzo.

Mi adatterò, ahimè lo sto già facendo. Ci provo anch'io ogni tanto a scrivere qualcosa di intelligente, e infatti mi invitano alle conferenze di SEL, in cui espongo il mio punto di vista sulla questione lavoro e litigo con gli anziani. Ma il più delle volte vorrei non scriverci niente, solo quattro righe disimpegnate come queste, e credo che ricomincerò a farlo - come fossimo nel 2003.

Sto bene, lavoro tanto, vivo serena come posso, rifletto spesso sulle case degli altri, sui cimiteri, sulla morte, leggo libri, vado in palestra, fantastico sulla mia partecipazione a X Factor, e mi guardo i capelli crescere. Vi penso. E tornerò presto, lo prometto.

Ciao amici.

Vanna

24 giugno 2013

Tre giorni

(giugno) C'era una volta un mio amico, indossava una bella camicia, parlava con due ragazze. Ho pensato di ucciderle. Non le ho uccise, e dopo qualche mese lui mi ha preso la mano, io poi l'ho baciato - i bidelli portavano fuori la spazzatura.
(aprile) Il Bed & Breakfast era un ex convento. I soffitti erano alti, le pareti spoglie. Dividevamo un letto di ferro, il materasso era molle, l'Emilia taceva. Emettevo un suono con la bocca, una specie di schiocco - un rumore che rimbombava, si amplificava, si appiccicava all'intonaco. Abbiamo iniziato a ridere, alternavamo le risate a quel colpo sordo di labbra. E' stato un istante da niente, un frammento di tempo, di piccolo e scialbo, come quella stanza a venticinque euro a notte. Ho capito, profondamente e definitivamente, di amarlo come non ho mai pensato si potesse amare qualcosa, o qualcuno.

(oggi) Trecentoesessantaecinque giorni - per raccontarli ne sono bastati tre.
(e sempre) Grazie.

31 maggio 2013

Di fatti e di intenzioni

Intendevo creare un certo tipo di bellezza che non fosse così bella come l'avevo non voluta. Questo mi ha lasciata senza molto di quello che avevo una volta intenzione di fare, e fui costretta a cambiare idea. L'intenzione era fare resoconti migliori. L'intenzione era fare più domande. 
R. Blau DuPlessis, L'intenzione era dire
Io soffro il freddo, moltissimo. Non so se è perché sono diabolicamente magra, ma sta di fatto che tengo il piumone anche a Ferragosto, e sono fisicamente impossibilitata a dormire senza calzini, la mia temperatura corporea ammonta ai 35 gradi. Pensavo che mi sento stanca, pallida, brutta, mi sento una vichinga indurita negli anni (e nel pelo) dal gelido, ostile Nord. Le mani sono fredde, così fredde che non sembrano nemmeno mie.
E' stato un duro inverno, non accenna a finire, almeno non a Milano che somiglia sempre di più a Detroit, in peggio. Diciamolo, è stata una primavera difficile e per certi aspetti nemmeno una primavera, non ha fatto che piovere fuori e dentro. Manca meno di un mese all'estate e nessuno se n'è accorto, mi chiedo come facciano a sopravvivere le piante, le foglie - forse sono più coriacee di noi, io ho passato mesi ad arrampicarmi alle mie lenzuola nel tentativo di non pensare a tutto ciò che c'era da affrontare, a quante "fine" si sarebbero svolte al di là delle palpebre. Lo stage, il dire addio, il dover salutare ogni cosa, le cicatrici: nelle difficoltà non ho mai messo in dubbio di voler profondamente bene ai miei colleghi, e nemmeno per un secondo ho dubitato di non essere ricambiata. Sono cose che non si dimenticano.
E subito dopo la laurea, un'altra fine e appena dopo la fine beh il vuoto, il gelido abisso della disoccupazione tout court: "E adesso che c*zzo faccio?".
Ho passato gli ultimi due mesi a campare dei miei risparmi finendo una tesi, e poi andando a dei colloqui per sentirmi chiedere se sono interessata a un lavoro porta a porta da un uomo gentile, così gentile che non hai nemmeno voglia di ribellarti e metterti a piangere, e l'unico diritto che ti resta è sorridere, mentire, andartene.
Con una gran voglia di strisciare verso la fermata del pullman, coi tacchi alti ai piedi su una statale e sembravo un'avvilente e avvilita prostituta barely legal e invece mi hanno chiamata per un altro colloquio, questa volta sembrava un lavoro figo e infatti il giorno dopo ci sono andata. I tacchi bassi facevano un suono piacevole sul pavimento pulito di un bel palazzo, in una bella via della Milano quella vera.

E salendo le scale, masticando inadeguatezza, ho ripensato alla primavera, a quanto sia ingiusto il fatto che non l'abbiamo vista, che non la vedremo per un altro anno. Ho pensato alla primavera, a tutto quanto che nasce, al sole che formicola sulla pelle stanca, pallida, assetata. Ho pensato ai fiori, agli alberi, alle foglie: sono lì, sopravvivono, curvi piangono i loro morti e ostinatamente si colorano, sopravvivono, esattamente come noi. La primavera non si è fermata a dormire, ma di tanto in tanto ci ha fatto una visita: era primavera quando lo stage è finito, il tramonto era molle e potente, io ho respirato e ho pensato di aver fatto il mio dovere, mi sono voluta un gran bene. E il caldo era torrido quando mi sono laureata, aprile si vestiva di maggio, tutto era movimento era vita era odori. Dopo la cerimonia ho tolto il vestito elegante, mi sono finalmente rimessa i jeans, una maglietta di cotone, sono tornata al mio posto... Chissà dov'ero andata, chi era quella lì. Il giorno della mia laurea sembra appartenere alla vita di un'altra: una tizia elegante, sorridente, sicura di sé, che espone perfettamente circondata da amici e parenti, così tanti che fanno fin troppo casino. Sono ultras, sono lì per lei. E' ben truccata, disinvolta, molto ansiosa di fare bella figura. E' una vita meravigliosa, ma è la vita di un'altra - forse per questo ho saltato la cerimonia ma mi sono presentata all'aperitivo in jeans, c'erano pochi amici, i migliori, e un aperitivo a Milano, le risate a denti scoperti, ecco sì quella è la mia vita, ed è altrettanto bella, è il paradiso terrestre, è il cum laude dell'esistenza.

Anche quando sono andata in montagna era primavera. Ad aggiungere altro mi sentirei una sciocca, e allora dico solo che indossavo una maglietta di D. a maniche lunga ed esibivo al sole le palpebre chiuse. Il viso bollente, il corpo rinforzato dall'aria sana e fresca, il rumore dell'acqua che le foto non raccontano. Le foto raccontano una coppia innamorata di ragazzi giovani e svegli, che ridono, si vogliono bene, sanno anche essere grandi amici. Una coppia sana, che pare stiano insieme da sempre. Ecco, è tutto vero, è esattamente così - e poi c'è il rumore dell'acqua, quella parte in cui siamo solo noi, quella cosa che gli altri non vedono, che ci guarda e ci riguarda, come una Promessa che non sapevamo di dover mantenere, come il sapersi semplicemente persone simili, affini, ugualmente bizzarre. Ecco io questa cosa non ve la posso raccontare, ve la posso solo augurare.

Ho ripensato a tutto questo, davvero, storie di giorni in pochi minuti, ho fatto il colloquio ed è andato molto bene, il lavoro non sembra è figo e comincio lunedì. Ecco, sì, ho fatto tutta questa lacrimosa premessa per dirvi che ho un lavoro, figo. Ho ricordato ciò che ho scritto alla fine del 2012 (lo trovate qui: click) quando ho intenzionalmente evitato di fare i buoni propositi, sapendo che li avrei mandati tutti a puttane.

Per il 2013 chiedo di ricordarmi ogni giorno che si vive per vedere i dolori del presente passati, e che non tutto ciò che amo è lì per essermi portato via.
Per il 2013 chiedo lavoro, doveri, responsabilità - chiedo di sapere cosa significhi il crescere come esperienza positiva, non solo attraverso la sofferenza ma anche e sopratutto attraverso ciò che di nuovo ti scopri in grado di fare.
Per il 2013 chiedo poco, quasi niente, solo scudi ed armi nuove.

Lavoro, doveri, scudi ed armi nuove. Il coraggio di agire, di rubare quando si ha fame - sono tutte cose già scritte, e forse per questo reali: sono tutte cose già dette, e sono arrivate, forse perché le ho chieste, attese, sperate, desiderate, auspicate, sempre sapute, custodite dentro, negli anni, nei vuoti, nella certezza spietata che ci sia un posto per me là fuori, nel vasto mondo - da qualche parte. 

28 aprile 2013

Interruzione pubblicitaria

Un post al volo - perché non posso solo prendermela con tutti, devo anche comportarmi da persona seria. E niente, un po' perché mi sono laureata, un po' perché sono precaria (e come sempre le cose vanno a braccetto) ho creato la pagina Facebook di questo blog.

Posto che i miei lettori sono per il 90% anche persone che mi hanno su Facebook mi scuso per la ridodanza, a tutti gli altri (pochi) che non sono amici ma ci tengono a rimanere social-aggiornati a tutte le vicende di fondamentale rilevanza narrate su questo blog, questo è il link: https://www.facebook.com/VannaBanalityFair, che trovate anche nella colonna a destra.

E siete caldamente invitati ad accomodarvi, e fare come se foste a casa vostra.
Buona serata e buona settimana a tutti!

27 aprile 2013

L'ultima cena, con gli Amici di Comunione e Liberazione

Comunione e Liberazione, un adepto a caso.
Innanzitutto ci tengo a precisare che sarò politicamente scorretta e non è assolutamente vero che non ho nulla contro Comunione e Liberazione, io ho un'enciclopedia di cose contro Comunione e Liberazione, prima delle quali il fatto che pochi anni fa hanno cercato di ammettermi nel loro club, tutto quanto a mia insaputa. E le palle mi sono girate parecchio, perché all'insaputa di Scajola gli regalano una casa, all'insaputa mia mi ritrovo invischiata nella mia setta preferita, la Massoneria degli sfigati.
Ma procediamo con ordine.
A diciannove anni ero un filo più cretina e molto più bella di adesso: credo che le cose andassero di pari passo, e forse è per questo che è successo ciò che è successo, forse Dio ha voluto punirmi per la mia superbia e la mia ingenuità, e gliene sono grata perché ho imparato la lezione.
Era l'inizio di settembre di qualche anno fa, l'inchiostro si stava asciugando del mio diploma e io cazzeggiavo da sola davanti alla Statale, fumavo sigarette e mi mettevo in pose plastiche nella speranza che qualche universitario di bell'aspetto e dal portafogli gonfio mi portasse a cena sui Navigli - insomma stavo lì nella mia mise da signorinella (non che girassi nuda, ma a 19 anni esibivo con maggiore entusiasmo la mia femminilità di quanto non faccia ora) e fantasticavo sul futuro scintillante che mi attendeva alla facoltà di Lettere Moderne.
In quel momento sono stata avvicinata da due ragazzi: avevano un volantino in mano ed erano molto brutti. Più che altro erano molto scialbi: con questi pantaloni color besciamella, la camicia a maniche corte, la fronte lievemente sudata e i lineamenti male assortiti, uno dei due avrebbe dovuto perdere qualche chilo, l'altro avrebbe dovuto mangiare un panino con la mortadella a colazione per i prossimi dieci anni. Però dai, io ero e sono una cazzara ipersocievole di buoni sentimenti, e quando questi due si sono proposti di darmi qualche consiglio sulle scelte accademiche e la vita universitaria ho accettato di buon cuore, ho pensato che lo facessero sia perché ero una bella ragazza sia perché magari all'università le persone imparano a fare cose buone per gli altri in cambio di niente.
Certo, non credevo saremmo diventati amiconi, ma ho comunque accettato di conoscere il resto della banda che presidiava un gazebo lì vicino. Era tutto molto bizzarro, perché mi sono subito accorta che erano tutti uguali: le ragazze mediamente molto carine e molto insipide, capelli lunghi, gioielli poco appariscenti, abiti castigati. Gli uomini tutti orrendi: un tripudio di brufoli, panze, calvizie incipienti, baffetti da terza media, ascelle sudate e scarpe e camicie che mettevano a disagio per la loro indescrivibile tristezza. 

Ma sì, pensai, questi sono quelli che al liceo invece che passare l'intervallo a fumare e fare casino organizzavano il concerto di Natale, magari un po' sfigati ma certamente non cattivi, e sopratutto disinteressati, quasi ammirevoli. Come no Vanna, al solito ci hai proprio preso!

Ad ogni modo io e gli sfigatini diventiamo subito amici, amicissimi, al punto che prima che il pomeriggio si interrompa accetto un invito a cena in una pizzeria dalle parti del Duomo, "Una cosa organizzata per le matricole", ed eccomi un paio di giorni dopo a rassicurare mio padre sul fatto che qualcuno di loro mi avrebbe portata a casa evitandomi quindi il treno, e mi sarebbe stato utile per capirci qualcosa di più su tutte le questioni burocratiche che non sarei riuscita ad affrontare da sola.

Arrivata al maledetto ristorante ricordo di aver pensato "Non ci staremo mai", perché vi sto parlando di almeno almeno almeno ottanta persone - ottanta persone tutte perfettamente simili a quelle già incontrate, io ero l'unica, per dire, che avesse il primo bottone della camicia slacciato. Entriamo nel ristorante, pizzeria o quel che era e subito ci servono pizza e, noto, niente alcolici, nemmeno una birra. Comunque, complice la Fanta, finalmente la serata si anima e si inizia a fare conversazione: fingo di non aver sentito parlare di aborto, religione e nozze omosessuali in una maniera che non mi piace affatto, fingo di non sentirmi tremendamente a disagio, fingo persino di divertirmi e di voler partecipare la prossima volta, ma comunque per ora niente di grave. Niente di grave finché non finiamo di mangiare, perché è a quel punto che inizia l'incubo.

Uno dei due ragazzi che avevo conosciuto (quello che mi aveva invitata, lui e la sua sicumera) a cena finita si mette con gli altri a spostare i tavoli, tira fuori da non so dove un paio di spartiti e forse persino una chitarra (la mia memoria inizia a vacillare) e in men che non si dica, mentre io smanio per poter uscire a fumare una sigaretta e levarmi di dosso l'odore di gente sudata e malvestita, ecco che tutti cominciano a cantare. Il repertorio è notevole: si passa da Daghel'avanti un passo delizia del mio cuor a Romagna mia in un battibaleno, qualcuno azzarda anche un Pane del cielo e i più coraggiosi intonano addirittura La vie en rose. Oltretutto erano perfettamente organizzati: le ragazze da una parte, gli uomini da un'altra, e sapevano tutti i testi a memoria e anche quando attaccare, io li guardavo attonita cercando di non vomitarmi addosso e cercando, sopratutto, di non ammazzare a mani nude tutti quelli che arrivavano da me e con occhi invasati, gravidi d'entusiasmo, mi invitavano ad unirmi al coro. A quel punto mi sono ripresa dalla paralisi e con una scusa sono uscita all'aperto per fumare una sigaretta, e lì ho incontrato due persone: il titolare del ristorante che era pallido di vergogna e un ragazzo che sembrava quasi normale. Mi faccio prestare una accendino, mi siedo insieme a loro e riprendendoci dallo shock arriviamo alla conclusione che le ottanta persone che dentro stanno facendo tremare le pareti cantando e ballando (male) tutte le canzoni più imbarazzanti dell'ultimo secolo non sono, purtroppo, Bestie di Satana ma sono tutti di Comunione e Liberazione.

Ricordo di aver passato il resto della serata a fissare il pavimento in stato di shock, nella speranza che finisse il prima possibile, e giunto il momento dei saluti vado a cercare i due amichetti che hanno cercato di introdurmi nel gruppo senza dirmi che tipo di gruppo fosse. Uno dei due si defila con una scusa, ma riesco ad afferrare l'altro per la camicia e chiedergli sibilando se la cena avesse qualcosa a che fare con CL. A quel punto lui sgrana gli occhioni, si guarda intorno come se non conoscesse nessuno, fa un bel respiro e prendendomi le mani nelle mani mi dice: "Vanna, devo essere sincero, io sono di Comunione e Liberazione... Ma gli altri non saprei". Allora, tu mi stai dicendo che queste persone che tu chiami per nome, con cui ti scambi pacche sulle spalle e battute cameratesche, persone che conoscono a memoria testo e coreografia di tutto lo squallido spettacolo a cui ho appena assistito, tu mi stai dicendo che non le conosci e che non lo sai. Non ricordo bene cos'ho fatto in quel momento, probabilmente l'ho semplicemente invitato a non insultare la mia intelligenza e cancellare il mio numero, in tutto questo ho provato a parlare anche con altre persone ma nessuno sembrava disposto ad ammettere che quella fosse una cena di tipo, diciamo, "associativo", così mi sono accoccolata tra le braccia fredde della rassegnazione e sono andata in cerca del tizio che avrebbe dovuto accompagnarmi a casa (sarei tornata volentieri in treno, ma dubito che mio padre avrebbe apprezzato, anche se a conti fatti un viaggio in treno all'una di notte sarebbe stato meno spaventoso).

Sì, perché il tizio che mi diede il passaggio risultò essere il più invasato di tutti: a parte che aveva tanta di quella forfora che arrivata a casa ho dovuto bruciare i miei vestiti, ha cercato di convincermi a partecipare alla loro Amicizia (e nella sua bocca, di notte al buio questa parola metteva i brividi) sostenendo che Dante Alighieri in persona avrebbe apprezzato e che evitando di unirmi al loro club gli avrei procurato un grosso dispiacere - sì, stiamo ancora parlando del defunto Alighieri.
E niente, non so come sono riuscita ad arrivare a casa sana e salva e con l'anima intatta, ma sta di fatto che non dimenticherò mai quest'esperienza che è tutt'ora la più imbarazzante, offensiva e ridicola che io abbia mai vissuto. Quindi, amici cari, se mai vi dovesse capitare di essere avvicinati da gente che risponde alle caratteristiche di cui sopra fatevi furbi e non pensate mai, mai che le persone facciano qualcosa per niente - a maggior ragione se indossano delle brutte camicie.

Post Scriptum: credo inoltre che ogni club avrebbe il dovere di far sapere che è un club. Nel senso, non c'è mica niente di male nel fare gruppo, nell'associarsi per ragioni sociali e politiche, ma è bene che gli altri lo sappiano, altrimenti si rischia di passare per una setta... O addirittura per una mafia, e sappiamo bene che Comunione e Liberazione non è né l'una né l'altra cosa. Lo sappiamo benissimo. 

25 aprile 2013

Dottore, chiami un dottore


La classe non è acqua.



Lo so, lo so che stiamo parlando di una triennale in Lettere Moderne, mica di un master a Chicago come Giannino. Lo so, lo so che le foto in abito bello, spumante, fiori, corone e cappellini sono nauseanti. Lo so, lo so che la strada è lunga per arrivare a essere, un giorno, un'insegnante delle medie sottopagata e con i calli ai piedi. So tutto, ed è proprio perché penso di sapere tutto che io da sola non ce l'avrei mai fatta: no, non ce l'avrei mai fatta a essere dottoressa, a vivere una giornata come quella di ieri se non avessi accanto una banda di parenti, amici e sopratutto amore a ricordarmi che lo posso fare, che non c'è niente che io non possa fare. Volevo nominarli tutti, e credo non ne nominerò nessuno: credo mi limiterò a dire grazie, perché è solo merito delle persone (tante, e tutte splendide) che ho vicino che sono riuscita ad essere quella che sono, è solo per loro che sono, per una volta, disgustosamente felice. 

Grazie, grazie di cuore dalla dottoressa più fortunata del mondo che non saprà mai, mai come sdebitarsi - perché io sono tante cose, ma non credo riuscirò mai a essere un'amica così meravigliosa come lo siete voi per me. Anche se, lo giuro, farò di tutto per riuscirci - dopotutto sono laureata.

20 aprile 2013

Libertà (non) è partecipazione

Mi è stato fatto notare che potrei far la fine della Fallaci: che non significa che farò i milioni vendendo libri, ma che passerò gli anni della vecchiaia a credere che il kebabbaro sotto casa mia sia un terrorista. Beh, può darsi. Credo che il problema dell'Oriana (scrittrice, donna e giornalista che io stimo moltissimo, ci tengo a precisarlo) fosse che si sentiva arrabbiata e sola, e certo quando si invecchia e ci si ammala è facile cedere ai propri rancori e al proprio odio. Io la fine dell'Oriana non vorrei farla, ma è che proprio non ci riesco, perché sono già arrabbiata e sola.

E' che proprio non ci riesco a tifare per una o per l'altra squadra, e tantomeno in questi giorni che a leggere i giornali c'è da farsi venire una colite - e a leggere i social network invece vien proprio da auspicare la morte, sopratutto quella altrui. Perché io ho un problema con la politica che coi politici non ha niente a che vedere. Dei politici a me sinceramente non importa, perché alla fine chi li conosce? E sopratutto, alla fine, chi è che permette loro di fare il loro mestiere? Perché che cosa sono i politici se non lo specchio di una società? E' troppo facile prendersela col Bersani o col Berlusconi di turno, dimenticando che sì siamo in democrazia e la democrazia implica che chiunque stia lì ce l'abbiamo messo noi, noi italiani, noi elettori - che siamo un popolo di deficienti, e l'unica gara che ci compete è insultare quelli che pensiamo siano più deficienti di noi. E allora gioco anch'io, e allora partecipo anch'io e mi spiace, mi spiace ma proprio non assolvo nessuno. 

I Berlusconiani e i Leghisti non li nomino nemmeno, è come sparare sulla Croce Rossa e poi che m'importa, chi ci ha mai mangiato assieme? E i Grillini beh, i Grillini non li voglio proprio sentire nominare: ignoranti, pazzi e pericolosi, tali e quali al loro leader. Il mio problema è con quelli che dovrebbero stare dalla mia parte, con quelli del PD e anche con quelli di SeL, quella è tutta gente con cui io non voglio avere nulla in comune, ma proprio nulla, tantomeno il partito. Ho votato SeL, l'ho deciso all'ultimo minuto entrando in cabina elettorale (e lo so, lo so che "è la stessa cosa che votar PD" ma per me, per me non è mai la stessa cosa, perché io voto col sangue - il mio, e quello di chi è morto per concedermi un diritto che allo stato attuale delle cose mi vergogno di avere, e tutti gli italiani dovrebbero vergognarsi altrettanto) e ne sono stata contenta. A meno di due mesi già ne detesto gli elettori: che sono forse un filo meno viscidi di quelli del PD, ma sempre della stessa gente si tratta. Gente che si riempie la bocca di bellissime frasi sull'immigrazione, i bambini poveri, gli omosessuali - e poi non fanno nessuna fatica a parlare con l'amico dell'amico e fregarti un lavoro che, guarda caso, implica l'essere ammanicati con questo o quell'altro circolo ARCI. Una mafia, l'ennesima: la mafia manifesta della sinistra più radicale, che vorrebbe essere pulita e invece è solo piccola, ma se fosse grande sarebbe comunque qualcosa di disgustoso perché i suoi elettori lo sono, e i suoi elettori sono quelli che alle elezioni finiscono sempre, non si sa come, a fare gli scrutatori e sono sempre quelli, al mio paese ad esempio non cambiano mai, ad ogni elezione sempre le stesse facce e ad ogni elezione io che mi chiedo "perché?". Forse perché non facendo parte di nessun circolo io non sono nessuno, non valgo niente: se non vai alle loro manifestazioni pseudoculturali in cui vengono citati a voce alta i soliti noti, da Celestini a Gino Strada e se non indossi la maglietta di Emergency non sei proprio nessuno. Gli elettori di SeL, privi di senso dell'umorismo, buonisti fino alla nausea - e io che cos'ho da dirmi con loro? Mi piacciono le barzellette razziste e non credo sinceramente che al mondo siamo tutti uguali, perché ho votato il loro partito? Perché ho creduto, stupidamente e per un secondo, di aver finalmente trovato un simbolo su cui segnare una X senza aver voglia di vomitare? Predicano l'uguaglianza e poi sorridono spietati appena si imbattono in qualcuno che vota qualcosa di diverso.
E poi io non me lo dimentico Vendola dopo la vittoria di Pisapia, sudato e con la pelle grassa che urla come Mussolini di abbracciare i nostri fratelli Rom: io non abbraccio nessuno, perché i Rom sanno anche rompere i coglioni e tu che vieni dalla Puglia e non lo sai forse dovresti solo tacere, darti una calmata. Io non abbraccio nessuno perché al contrario dell'elettore di SeL io diffido di tutti, io detesto tutti, e i Rom non fanno certo eccezione.

Ma lasciamo perdere SeL che davvero è il male minore (ed è per questo che l'ho votato) e veniamo a loro, ai miei preferiti, al Partito Democratico di cui sono sempre stata un'accanita sostenitrice, difendendoli anche quando erano indifendibili. Qualcuno ha sentito parlare di #occupypd? Il nuovo hashtag dei Giovani Democratici, beh ve lo spiego io: praticamente questi hanno improvvisamente capito che la dirigenza del partito non li ascolta, e adesso occupano le sedi del PD, dopo aver passato i mesi della campagna elettorale ad ammazzarsi tra di loro per finire sulla copertina Facebook della pagina del partito abbracciati a Bersani che ama tanto i giovani (pagina Facebook che è gestita in maniera semplicemente patetica: i social media specialist che ci stanno dietro erano ad esempio troppo occupati a farsi venire ideone ironiche e sagaci per prendere in giro Monti e si dimenticavano di cancellare da ogni post i commenti dei vari Grillini e Berlusconiani che giustamente si davano al flame; gli stessi amministratori si sono anche dimenticati di rispondere alla sottoscritta che li implorava di rimuovere quei commenti e di smetterla con la propaganda da terza media, "vi prego faccio il tifo per voi, così finisce male" ed è finita anche peggio, CVD - ma non perché sono un genio, un qualsiasi imbecille se ne sarebbe accorto, un qualsiasi imbecille tranne loro).
Occupano, capito? Occupano le sedi di cui hanno già le chiavi, per una giornata via la camicia, via le Clarks, e giochiamo a fare i piccoli rivoluzionari arrabbiati e pericolosi, tali e quali ai facinorosi dei centri sociali che sì, mi fanno schifo, ma almeno portano avanti le stesse battaglie da sempre e hanno una loro integrità - perché tutti i delinquenti ne hanno una, ed è per questo che preferisco i delinquenti ai Giovani Democratici. 
Giovani Democratici che a mio parere danno il meglio nelle università: fanno la lobby di intellettuali di sinistra, fanno quelli che portano la cultura, e la verità è che sfruttano la visibilità della politica per rimorchiare uomini, donne e bambini, per accaparrarsi un bicchiere di vino rosso all'ennesima iniziativa di sinistra mentre con aria malinconica citano Gramsci, perché loro citano sempre Gramsci. I Giovani Democratici amano il popolo, pensano che il popolo sia composto da operai che leggono Kafka, operai che sono contenti di fare gli operai e non aspettano altro che un leader illuminato che li guidi verso il benessere - mentre gli operai aspettano la busta paga e guardano, giustamente, il Grande Fratello e Amici. Parlano di popolo, loro, e il popolo non sanno nemmeno che cosa sia: avulsi dalla realtà, malvestiti, tutti uguali, eccoli i Giovani Democratici.

E io dove mi metto? Io che giovane e che sono di sinistra, che sono sempre stata di sinistra e una volta ne ero pure fiera adesso mi vergogno, perché non ho nulla a che spartire né con gli uni né con gli altri. Io che vado a votare da sola, che mi incazzo da sola, che leggo i giornali da sola, io che forse non comprendo la scienza politica ma comprendo la gente, comprendo l'umanità e lo sporco: che cosa mi rimane? Che cosa mi rimane a parte la rabbia e l'odio? A me non resta che dire no: e dico no ai vostri concerti in piazza e alle manifestazioni del 25 aprile in cui fingiamo di essere tutti una grande famiglia, dico no a Gino Strada che mi pareva facesse il chirurgo invece è diventato una soubrette e sta sempre in televisione a ricordarci quanto è buono e bravo con la sua antipatia da borghesia intellettuale, e dico no a Battiato che mi fa venire il vomito, e dico no alle strumentalizzazioni su Ruby Rubacuori che aveva 17 anni e meriterebbe un po' di rispetto, perché se Ruby non può fare la puttana allora perché abbiamo fatto il femminismo? Dico no al femminismo, sopratutto, alle manifestazioni Se non ora quando? in cui facciamo credere di non aver mai utilizzato una scollatura o un sorriso per farci dare un cocktail al Magnolia prima degli altri, e dico no a tutti i film di nicchia, alla faccia flaccida e vecchia di Dario Fo, dico no a Macao, a tutti i circoli ARCI. Dico no perché io non voglio partecipare, non voglio esserci, non voglio esserci mentre lentamente salite le scale di quella cultura preimpostata e sterile che è sempre la stessa da cinquant'anni, e dico no alle nostalgie degli anni '60 e degli anni '70 e a tutto quello che la Giovane Sinistra dice di amare senza comprendere.

E io dove mi metto? Mi metto dalla parte di quelli che sono soli, senza bandiera e senza fiducia, di quelli che sognano una sinistra che con gente come Majorino non ha niente a che vedere - e rifiuto tutto ciò che è comunità e condivisione, perché è un club a cui non ho nessuna intenzione di appartenere. Me ne sto sola, e l'unica azione politica che ancora mi sento di fare è cercare di farli riflettere, tentare di dare il buon esempio con tutte le mie forze e detestarli e assolverli tutti con sguardo lucido e distante, o almeno provarci.
Mi metto dalla parte di quelli che come Oriana Fallaci muoiono matti e soli, ma con la coscienza pulita.

Non lo so perché dico e penso tutto questo, e la verità è che preferirei non essere così: la verità è che preferirei essere come loro, mandare giù tutto, preferirei chiudermi nel mio piccolo mondo di bandiere rosse e persone che ancora si chiamano "compagno" e dimenticano che la parola "compagno" ne ha uccisi tanti quanti la parola "camerata" - dimenticano che di ismi la gente muore, e io non voglio partecipare. Gaber non aveva ragione, libertà non è partecipazione e io non sono nemmeno sicura di volerla la libertà: io preferisco essere incatenata al mio disprezzo, incatenata al mio rancore, senza punti di riferimento e posti dove andare, persone a cui rivolgermi per trovare un lavoro in qualche ufficio stampa, per scrivere articoli sottopagati a qualche giornale di paese. E continuerò ad ascoltare le vostre stesse canzoni, a leggere i vostri stessi libri, continuerò a essere associata a voi e continuerò a gridare, a gridare sempre più forte che io non sono una di voi - che io non sono una di nessuno, che io sono io e basta e io non dimentico. Non dimentico le facce sbalordite di quando avevo vent'anni e un fidanzato di destra, e venivo trattata nel migliore dei casi come una strana e nel peggiore come una traditrice: perché predicate l'uguaglianza e abbracciate i Rom, ma di amare i Rom vi è stato detto, l'avete letto da qualche parte che bisogna amare il diverso quando il diverso è povero e magari extracomunitario. Invece a me di amare gente che non la pensa nel mio stesso modo non l'ha detto nessuno, e se il prezzo da pagare per essere libera da ogni preconcetto è il rancore e l'odio ogni volta che vi vedo parlare di qualcosa che per me conta, ogni volta che vi sento ascoltare la mia stessa musica, leggere i miei stessi libri, guardare i miei stessi film beh, allora sono contenta di pagarla cara, di pagarla tutta.

Avrete, forse, il mio voto ma non avrete mai il mio rispetto e tantomeno il mio pensiero, che forse non è un gran pensiero ma certamente, almeno quello, è libero.

14 aprile 2013

Ho visto umani che voi umani non potete neanche immaginare

Tipo che ho visto uomini grassi, calvi e brutti accanirsi contro le donne che preferiscono gli stronzi - dicono sempre così, e io penso che non mi piacciono gli stronzi ma nemmeno quelli che sono grassi, calvi e brutti e hanno i denti marci, la forfora, e sembra che non si siano mai dico mai cambiati la maglietta. E invece eccoli lì che tirano fuori il più bieco e gretto dei sessismi: il sessismo di chi non ha nemmeno la decenza di lavarsi le ascelle ma pretende comunque una fidanzata che sia bella e porca quanto quelle dei porno giapponesi con cui sono cresciuti, invecchiati, marciti ma non del tutto morti - e puzzano, materia cerebrale in avanzato stato di decomposizione. Omicidio-suicidio.

Ho visto la sicumera - ho visto lo snobismo nell'outsider al liceo, quello che dice che i compagni di classe lo prendono in giro perché è diverso e ascolta musica che nessuno conosce ma proprio nessuno, tipo David Bowie ma e non è mai diverso, è solo più stronzo degli altri, anzi è stronzo come loro - tale e quale a loro, il segreto sta nella mera uguaglianza perché il di più è sempre sempre ben accetto. E li ho visti affrontare seriamente la questione del bullismo appena dopo aver passato il pomeriggio a trollare i dodicenni su Twitter.

E li ho visti abusare del concetto di orrore, gente orrenda che parla di orrore commuoversi per l'Olocausto e dall'altra parte della barricata li ho sentiti gridare "E allora le foibe?" e tra le barricate a cavalcioni coi coglioni dolenti ho visto quello che li fotte tutti e cita il genocidio degli Armeni, degli Indiani d'America, dell'ennesimo popolo sterminato di cui non importa a nessuno. Perché la verità è che non importa a nessuno e il vero orrore è non riuscire ad ammetterlo - non rassegnarsi al fatto che non sentiamo niente, non vediamo niente, e che l'unico orrore di cui ci importi realmente è la nonna che muore, perché ho anche visto che in ogni vita difficile c'è qualche nonno che muore.
E non venite a parlarmi di rispetto, non ditemi che è questione di rispetto e di forma perché fingere, sì fingere che ci importi qualcosa dei genocidi degli altri e giocare la carta di chi conosce la storia insanguinata che sia più di nicchia: ecco quella è la vergogna, quello è cagare in faccia ai morti e i morti, tutti, non fanno mica del male a nessuno e gradirebbero non essere ricordati. E vorrei che li lasciassero stare, vorrei che i morti riposassero in pace - e non è da Dio che dipende, ma dagli uomini.
E li ho visti dedicarsi alla cultura, fare cultura, sbrodolare arte - e subito dopo li ho visti accanirsi a un buffet, li ho sentiti puzzare di vino rosso e formaggio, affondare le mani nel pane e le mani nella bocca, li ho visti erano uomini e donne di tutte le età, sudavano e si accanivano sul cibo in un'orgia infernale di germi, briciole, dita appiccicose.

Ho partecipato a ogni riunione sono entrata in ogni circolo ho assunto un cipiglio interessato ad ogni iniziativa ad ogni evento - ho fatto le scuole e l'università ho manifestato contro la riforma Moratti e ho smesso ai tempi di quelle contro la riforma Gelmini. Perché io non so esattamente come e quando sia successo ma so che a un certo punto ho capito ed è lì che ho iniziato a ciondolare tra la solitudine e la collera - e più le persone esibivano presunte similitudini col mio carattere e i miei gusti più le disprezzavo, perché le guardavo e facevano schifo eppure si ostinavano a parlare delle cose che amo, delle cose che per me sono importanti, trattandole come fossero roba loro senza mai averle comprese, perché troppo imbecilli per farlo, si ostinavano ad associarsi a me, definirsi miei simili. E' il motivo per cui tra una festa a Casa Pound e un 25 aprile in Piazza Duomo io scelgo la festa a Casa Pound: perché dovete costringermi a vedere di nuovo, schiumare bile di nuovo sulla pochezza della gente allora preferisco che sia gente con cui almeno non ho nulla in comune - perché tu sì proprio tu che su Facebook non fai che parlare di quanto ti piacciono libri e ti fotografi nei prati bella coi capelli al vento e i libri, sempre i libri, ecco non hai niente di diverso da quella che si fotografa nel bagno con le tette di fuori perché desiderate la stessa cosa (e ne volete almeno 20 e non sono i centimetri ma i like su Facebook) ma no, no voi siete diverse la verità è che siete solo più bugiarde perché usate un libro per vendervi, ma è proprio la stessa cosa che affonda le radici nella stessa bugia.

*

Ma la cosa importante che volevo scrivere è che ho visto tutte queste cose ma non ho visto te, e sei stato il primo a cui le ho raccontate e il primo che ha compreso perché aveva compreso prima di me. Ho visto tutte queste cose e non ti ho visto, non eri alle manifestazioni e non eri tra le barricate, non hai mai imparato a gridare, non hai mai voluto emergere, farti spazio, accaparrarti un pezzo di pane, mischiare la tua carne a quella degli altri. Credo di esserti inciampata addosso mentre non facevi niente, impegnato a essere vero e dignitoso nel silenzio pulito degli assenti. Ho amato immediatamente il nulla che ti portavi appiccicato addosso, il perfetto anonimato che consiste nel non appartenere a nessun gruppo, nell'appartenere effettivamente e soltanto al proprio nome, essere il singolo tra gli altri - essere diverso, probabilmente migliore ed è prendendoti le mani che è scesa la sera e ho potuto fermarmi, accostare la mia carne alla tua, trovare concretezze su cui appoggiare le ossa mentre ciondolavo tra la solitudine e la collera. 

Insomma ho chiuso gli occhi, e finalmente ho visto te.

10 aprile 2013

House Rules


Nella foto: un esempio di Ateismo Militante e Umorismo Fastidioso
Mi piace mescolare le cazzate alla religione, è una cosa che faccio spesso nell'inutile tentativo di far arrabbiare il mio uomo che, ve lo assicuro, per il solo fatto di sopportarmi avrà certamente un posto in paradiso. 
Il post che segue è liberamente ispirato alla Bibbia che da vera Atea Militante non ho mai letto (sì, perché esporre le proprie tesi attraverso l'arma della sagace ignoranza non piace solo ai Grillini, piace a tutti i militanti e io detesto i militanti) ed enuncerà poche, semplici regole di regole di convivenza - volevo chiamarle I Comandamenti ma poi ho saputo da fonte certa che il termine è già stato usato.
  1. Blog mio, commenti vostri - sentiamoci liberi (come diceva la mia ex prof. di francese quando stava per farci il culo) di scrivere ciò che vogliamo: vale per voi e per me. A miserabili insulti seguiranno miserabili insulti.
  2. Rimuoverò solo e soltanto i commenti che strumentalizzano informazioni o episodi assolutamente personali, quindi non scrivetene.  
  3. Dovessi trovare commenti che strumentalizzino informazioni ed episodi che non voglio vengano condivisi sul web mi prenderò la libertà di arrivare sotto casa vostra e scoprire insieme a voi cosa si prova nel riattaccarsi gli incisivi col nastro adesivo. 
  4. Scrivete a me, a me personalmente: anche solo per dirmi che questo blog fa schifo ai topi. Tratto la materia umana - in modo becero ma lo faccio, e io scrivo di me per voi, di voi per me. Scrivetemi anche se vi sentite un po' giù, mi piace chiacchierare con le persone su internet, creare vicinanze.
  5. Se vi va e soltanto se vi va spargete la voce - in altre parole... Condividete. Non dico sulla bacheca di Facebook, ma magari mandate il link a un amico se pensate possa piacergli. Inutile fingere che non mi interessi essere letta da più persone possibile.
  6. Non fate i maiali e non mandatemi mail in cui mi elencate tutto ciò che vorreste farmi sopra, sotto e accanto alle vostre lenzuola - non mi interessa e sopratutto potrei decidere di denunciarvi. Non perché m'interessi realmente ricorrere a vie legali, sarebbe solo per fare un po' di folklore. 
  7. Sulla destra trovate un indirizzo mail: come già detto, scrivetemi. E se non avete niente da dirmi mandatemi foto di carlini, che sono sempre le benvenute.
  8. Commentate. Lo so che Blogspot fa schifo quando si tratta di lasciare commenti in via anonima, mandare una mail a Obama in persona è quasi sicuramente più semplice ed intuitivo, ma se avete qualcosa da dire fate lo sforzo e ditelo e basta - altrimenti scrivetelo all'indirizzo mail di cui sopra.
  9. Siate pazienti e non pensate che io abbia tentato il suicidio mediante un chupito a base di alcol etilico e ammoniaca ogni qualvolta dovessi sparire per un periodo di tempo indeterminato: probabilmente si tratta solo di un periodo impegnativo o più probabilmente dell'ennesima volta in cui ho deciso di rileggere tutti e sette gli Harry Potter nel giro di un mese.
  10. Armatevi di un buon senso dell'umorismo, e che questo sia IL comandamento della vita, ora e sempre, e decisamente amen. 
Infine, BanalityFair è anche su Facebook, siate gentili e diventate fan!

17 marzo 2013

Il titolo è tutorial di bellezza per gente che non ha voglia di sbattersi

Volevo scrivere un post sul nuovo Papa, ma poi ho deciso che Francesco mi è così simpatico che non vale la pena di fare del facile umorismo, quindi scriverò di qualcosa che mi compete decisamente di più... E sopratutto non è così pretenzioso come un commento all'Angelus che ho sorprendentemente ascoltato stamane (non so perché l'ho fatto, forse perché ho una morbosa curiosità nei confronti di tutto ciò che non mi riguarda - ah, e ancora non ho capito bene cosa sia l'Angelus!). 
Oggi facciamo storie di ragazze, quindi uomini siete avvisati: stiamo per inoltrarci nel magico mondo della cura della bellezza, fuggite finché potete che oggi c'è tanto sport in TV!

Non so voi, ma io adoro i tutorial di bellezza, un paio di anni fa ne macinavo a decine più o meno tutti i giorni: avevo molto tempo da perdere che dedicavo all'imparare a truccarmi, e sinceramente non è stato tempo speso bene. Con le mani ho la stessa delicatezza di un muratore bergamasco, sono fisicamente incapace di avere pazienza e la mia precisione... Beh, la mia precisione lascia alquanto a desiderare.
Ciononostante i tutorial mi sono stati utili ad imparare le basi per non andare in giro come uno zombie, e alcuni insegnamenti li porto nel cuore e nel beauty case, anche se non sarò mai una di quelle che impara a mettersi, che so, il pigmento coi brillantini - insomma, salvo rari casi rimmel ed eyeliner mi bastano e mi avanzano, insieme a fondotinta e cipria, al resto posso tranquillamente rinunciare.

Quindi, benvenuti ai consigli di bellezza non richiesti per donne a cui della bellezza frega meno di niente: in altre parole, cosa faccio per mantenermi più o meno in ordine ogni giorno senza dover spendere tempo e denaro in un'occupazione necessaria, ma che non m'interessa?
Magari più avanti parleremo di make up in senso stretto, o magari di quanto siano insopportabili i miei capelli e un giorno potrei persino spingermi fino ai confini del mondo fashion (sempre per ragazze pigre e pragmatiche che non desiderano altro che essere graziose investendo meno risorse possibili) ma oggi nello specifico parlerò delle peggiori Croci che spettino alle femmine: le sopracciglia e, ahimé, i baffetti.

Non so voi ma io mi sono accorta di avere delle brutte sopracciglia (decisamente folte per un faccino così piccolo) intorno ai quattordici anni e quindi ho iniziato a depilarle, solo che non sono andata dall'estetista, no, ho peccato di superbia e ho fatto tutto da sola... E il risultato è stato a dir poco indecente.
Innanzitutto le avevo completamente depilate al centro, e tra gli occhi mi passava una specie di autostrada, tra l'altro costellata di brufoli, visto il periodo di pesantezza ormonale che ogni ragazzina conosce.
Per trovare la forma giusta ci ho messo circa tre anni, e senza mai andare dall'estetista.
Le ho avute troppo sottili, troppo spesse, troppo curve, troppo dritte, troppo incazzate, troppo clown che piange: sempre troppo, troppo e troppo. Insomma, un casino, e per circa tre anni sono andata in giro con una faccia che era sempre molto ridicola.
Altro problema del farsi le sopracciglia è costituito dall'errore che rende ogni sforzo di non somigliare a Elio piuttosto vano, togliere il cosiddetto pelo portante: quell'unico pelo che in quell'esatto punto regge il resto del sopracciglio, tolto quello si perde la forma ed è tutto da rifare, e decisamente si rifà male.
Sì, perché trovata la forma è impossibile cambiarla senza incorrere in risultati grotteschi: a ogni ragazza spetta un'unica forma di sopracciglia, in rapporto 1 a 1 - tutto il resto è morte, morte dell'autostima.
E poi farsi le sopracciglia è doloroso, o almeno per me lo era finché non ho scoperto il segreto per averle sempre più o meno in ordine: farle tutti i giorni, prima del trucco e appena dopo aver messo la crema idratante. Le prendi quando sono piccole, le ammazzi quando sono ancora poco più che bulbi piliferi: una specie di aborto, ma a scopo estetico. E così facendo la pelle si microcicatrizza: non so quanto faccia bene ai pori, ma sicuramente rende la pratica di depilazione sopraccigliare (posto che questo aggettivo esista) molto meno dolorosa.

Sopracciglia alla Gallagher: le mie al naturale sono tipo così
Chiuso il capitolo sopracciglia passiamo ai consigli per i baffetti.
In questo caso sono io che ne chiedo a voi, io sono una maledetta incapace.
E poi sono bruttissimi: compaiono in periodi che corrispondono a debolezza fisica e cattiveria diffusa, come un segno di riconoscimento quando il protagonista del film diventa cattivo... Ad alcuni vengono gli occhi rossi, a me spuntano i baffi come ai ratti.
Li odio tantissimo e li tolgo con la ceretta, solo che non sono capace.
Innanzitutto mi fa malissimo quindi per trovare il coraggio di strapparla mi ci vogliono almeno cinque minuti e ovviamente la cera rimane appiccicata e le veline unte che sono già presenti nella confezione mi fanno vomitare: sembrano fritte nella pastella per odore e consistenza.
Io infatti uso l'olio d'oliva, meno dannoso ma è ugualmente schifoso doversi ungere la faccia.
Quindi non ho consigli per questa tortura, l'unica fortuna è che è una tortura semestrale: più che altro togliere i baffetti ogni giorno sarebbe, beh preoccupante.

E per citare Francesco, cari fratelli e care sorelle buona domenica!

13 marzo 2013

"Vanità che si bagna nell'autocoscienza di sapermi non banale"

Pensavo che la mamma di Berlusconi doveva soffrire di stitichezza, ci ha messo 9 mesi a fare uno stronzo - e in generale io la politica non la sopporto più sapete? Rubano e parlano, parlano e rubano. 
Pensavo al tamarro che in treno ha ascoltato David Guetta a volume altissimo, e mi ha impedito di leggere Dissipatio H.G. di Morselli: ecco, io credo che le persone che leggono Morselli dovrebbero avere più diritti delle persone che ascoltano David Guetta, ma tanto va a finire che è il MIO account Twitter a essere insozzato da milioni di ragazzine isteriche che si comportano come *roie e sembra che sappiano solo piangere sulle foto delle loro popstars preferite. 
Il punto è che io sono una persona strana: perché leggo troppi libri, preferisco una birra tra amici alla discoteca e non seguo i dettami delle riviste di moda. Perché un uomo per conquistarmi non deve regalarmi un gioiello ma sapermi comprendere, perché preferisco sentirmi dire "Sei spiritosa" piuttosto che "Sei bella". Sono una persona strana, stranissima, e sono contenta che abbiate voglia di leggermi nonostante questo. 

Se anche voi ogni tanto vi sentite così, se anche voi siete stanchi di muovervi tra persone superficiali che ascoltano pessima musica e guardano TV spazzatura, se condividete anche solo una parola tra quelle che ho scritto e in questo momento sorridete sereni perché avete finalmente capito di non essere i soli beh... Sappiate che ci siete cascati.

 
Oggi è la Giornata Nazionale del post Banale, e per celebrarla ho riassunto in poche, semplici righe alcune tra le peggiori banalità che mi sia capitato di ascoltare e le ho riscritte ispirandomi al tono con cui di solito vengono pronunciate: sognante e addirittura profetico.
Qui sotto trovate riportato un dialogo realmente avvenuto diversi mesi fa, tra la sottoscritta e un ragazzo che pensavo potesse interessarmi: 

"Beh, io sono un tipo strano", segue sorrisino mesto, mi aspetto che mi dica di collezionare feci umane.
"E come mai?", chiedo già un po' angosciata. 
"Il mio film preferito è "Qualcuno volò sul nido del cuculo"... Non è del tutto normale".
Ah no? Di solito i film che vincono l'Oscar piacciono a parecchia gente, ma probabilmente sbaglio io. 
 
Il punto è che adorare le storie che parlano dei malati di mente, dei pedofili e dei serial killer non fa di voi dei malati di mente, dei pedofili o dei serial killer. Amare i cimiteri non fa di voi dei necrofili, preferire l'inverno all'estate non fa di voi dei depressi, e se davvero volete vestirvi in modo diverso dagli altri perché non provate a girare nudi con un imbuto sulla testa? 

La verità è che di persone realmente "strane e particolari" ne ho incontrate pochissime, e quasi sempre l'hanno pagato a caro prezzo: il più delle volte non si sentivano speciali, solo diverse. 
Non c'è niente di bello nel pensarsi diversi: chiedetelo a qualcuno, che so, con una malattia degenerativa e un'aspettativa di vita di 25 anni se gli piace essere diverso dagli altri, se gli piace avere una sedia che lo differenzia da tutti i compagni di classe perché quella sedia ha le rotelle.
Chiedetelo al bambino che in classe viene sempre scelto per ultimo quando si fanno le squadre per la partita di calcio, chiedetelo alla zitella col fiato pesante e le gambe storte che a quarant'anni non sa più cosa dire ai propri parenti, alle proprie amiche. 
Chiedetelo a chi non ha più un rene, a chi ha avuto un figlio a quindici anni, a chi vive in mezzo a una strada, chiedetelo e fatemi sapere: sicuramente vi diranno che è proprio una figata.

Grazie a Piscu per la segnalazione: vi consiglio una visita al blog Unknown to Milions che di banale non ha proprio niente.

10 marzo 2013

Essere donna è uno schifo

In ritardo di un paio di giorni, giacché virus non meglio identificati hanno contribuito al deperimento del mio corpicino pallido e malaticcio avvicinandomi al concetto di morte...

Andrò controccorente e perderò qualche altro lettore di sinistra: alla manifestazione Se non ora quando? non ci sono andata, perché poi non sono orgogliosa di essere una donna.
E non solo a causa delle stracitate Olgettine, Letterine e Veline, o i vari mignottoni della televisione italiama, o la Binetti, la Santanché e la Mussolini, no, anche e sopratutto perché essere donna, semplicemente, è uno schifo.
E non per il dolore del parto o le mestruazioni o la costante sensazione di colpa e prigionia o l'incapacità di viversi serenamente il sesso fino ai ennemila anni, lo detesto perché sento che siamo noi le principali responsabili del nostro malessere.
Alzi la mano chi non ha mai illuso un amico facendogli credere che avrebbe potuto essere un fidanzato solo per rinfrescarsi l'autostima, chi non ha mai usato il proprio aspetto fisico per ottenere un qualsiasi beneficio, chi non ha mai preteso atteggiamenti di favore soltanto perché femmina, chi non si è mai comportata da vera stronza.
Essere donna è uno schifo, è la nostra condizione stessa di femmine a rendere tutto così schifoso: ecco come la penso sull'8 marzo, e subito dopo però penso anche che c'è un lato positivo: posso avere delle amiche donne, tante, e senza aver voglia di portarmele a letto.
L'amicizia, o comunque la solidarietà tra donne, quando c'è è uno tra i sentimenti più belli che si possano concepire, una specie di Sacra Alleanza, e non mi riferisco alle manifestazioni in cui Concita De Gregorio vorrebbe essere povera e si fa fotografare in compagnia di una pensionata: mi riferisco all'alleanza quotidiana tra donne sconosciute che si siedono vicine sui mezzi pubblici la sera, uno scambio di sguardi al bagno per farti capire che mi sono venute le mestruazioni e tu dovrai cedermi il posto e lo farai e mi terrai la borsa, e le amiche che rispondono al telefono a qualsiasi ora della notte perché il tuo fidanzato ti ha portato i girasoli ma i girasoli ti ricordano il tuo ex così avete litigato e adesso tu non riesci a smettere di piangere, è quella l'alleanza di cui parlo...e non è ora, non è quando, e soprattutto non è se: è ed è sempre stata.
Quindi, essere donne è uno schifo ed è inutile negarlo solo perché siamo all'8 di marzo, ma all'amicizia tra donne non rinunceremmo nemmeno se vi decideste a partorire e a farvi venire le mestruazioni.

Buona vita della donna a tutte.

La mimosa val bene due giorni, il carlino fiore è per sempre.

22 febbraio 2013

Universitari che perplimono le donne

Intanto, alla Statale di Milano, Lettere Moderne...


Non ci sono tanti uomini nella mia Facoltà, e quelli che ci sono bizzarri.
Negli anni li ho lentamente suddivisi in diverse categorie, e sono sicura che alcune (ex) compagne di corso si riconosceranno nelle seguenti parole - se mai dovessero leggerle.
Non saprei... gli Inaccettabili? Capelli (quando ci sono) unti e pieni di forfora, occhiale spesso anni '90 e corpi che quando non sono troppo grassi sono troppo magri. Il più delle volte sono antipatici, saccenti e odiano le donne, oltretutto non possiedono vestiti di questo secolo. Non li si vede quasi mai ma sono molto numerosi e pressoché identici tra loro, a lezione stanno in prima fila a farsi compatire e studiano solo a casa propria, nel silenzio di una cameretta in cui non entrerà mai una femmina.
E i Radicalscisci che spesso sono attraenti, interessanti e un po' di sinistra. E ci caschiamo quasi tutte quando il tipetto carino ci si siede accanto e fa un commento qualsiasi e ci sembra così grazioso, così sveglio, così sano e dopo sole due settimane siamo innamorate e ci accorgiamo che è banale e vuoto di contenuti, ripetitivo, asettico. Portano Converse sgualcite e ogni mattina passano ore a pettinarsi per dare l'idea di non essersi pettinati affatto, non è escluso che partecipino attivamente alla vita politica della Facoltà: si fanno fotografare al 25 aprile mentre tengono in mano una bandiera rossa e se un carabiniere al bar prende l'ultimo croissant alla crema gridano all'abuso di potere. Imparate a riconoscerli ed evitateli, nel caso di insistenze dite loro che Pasolini era un pedofilo, vi odieranno ma sarà meglio così.
Al terzo posto i Ficherrimi. Quelli che entrano e tu li vedi subito perché sono belli, palestrati, profumati, brillanti e sopratutto gentili, te ne innamori per cinque minuti, il tempo che ti dicano di essere iscritti all'ARCIGay, di usare il profumo di Lady Gaga, e di avere un ragazzo che è bello e perfetto tanto quanto loro.
In quarta posizione gli Improbabili - che si iscrivono a Lettere perché pensano finalmente di poter imparare l'alfabeto. Le prime due settimane del primo anno ci sono solo loro, tra fischi e lazzi infastidiscono tutte le ragazze e fanno un paio di figure di merda coi professori, poi si rendono conto che l'Università non è posto per loro e vanno a fare i provini per il Grande Fratello.
E infine, al quinto e ultimo posto...i Normali.
Ne esistono forse due o tre, ma quasi nessuno li ha visti, è più che altro una leggenda come quella di Carpodzilla (la carpa gigante del laghetto) che pare sia stata messa lì dall'ex rettore, o il fatto che i bagni maschili del quinto piano siano un quadri locale per scambisti omosessuali.

Detto questo, devo l'ispirazione di questo post di cui non potevamo fare a meno a Spotted Unimi, che negli ultimi giorni sta rendendo la mia bacheca di Facebook un luogo terribilmente divertente. Peccato aver (quasi) finito, sono certa che le nuove generazioni si stiano divertendo parecchio tra una lezione e l'altra - sarà demenziale e di cattivo gusto, ma a modo vostro voi di Spotted Unimi offrite un servizio e spero che più persone possibili abbiano modo di innamorarsi o anche solo di farsi una bella nottata di sesso tra compagni di corso.
Io ho già un ragazzo, e indovinate un po' dove l'ho conosciuto?
Alla Statale di Milano, Lettere Moderne. 

17 febbraio 2013

Il sentimento più inflazionato del mondo

Si fa un gran parlare d'amore, sopratutto a San Valentino. L'amore è, iniziano sempre così. Non ho una definizione brillante o teatrale, non ho parole che possano andare bene a tutti. Io non so l'amore, tendenzialmente, cosa sia, e anche fosse non ve lo direi. Però delle cose le ho imparate, e le ho imparate grazie a te. Tipo che l'amore è grande, e copre tutti i silenzi.

Storie di fiori e gite in montagna
Ed è fare spazio, lasciarti entrare - aprire tutti i cancelli, lasciarti camminare tra i rovi. E' mostrarmi nell'interezza, raccontarti cose e scoprire che le sai già. E' sapersi, e viene dopo il capirsi e il conoscersi e ci sono coppie che non ci arrivano mai. Vedersi fino in fondo - e fino in fondo ogni volta stupirsi. Di come si muovono le tue dita mentre affetti i pomodori, della cura, della dolcezza, del rispetto, del modo che hai di vedermi per come sono realmente e contemporaneamente riflettermi nelle tue iridi per ciò che non sono e non sarò mai: guerriera, bella, regina di coraggio e acume. E' non avere bisogno di giustificarti: è sapere che è giusto così, che non c'è altro posto al mondo dove io desideri stare: e che c'è quiete, c'è luce, c'è gioia.
E' dimenticare il male, giorno dopo giorno è come non fosse mai successo, è sapere che per adesso a me davvero non serve altro, che di te io vivo e sopravvivo: la cosa più dolce, più importante, il moto primo.
E' dappertutto ed è sempre, nei fiori di montagna e negli scenari squallidi di queste periferie, è il desiderio che sia tu, che possa davvero essere tu.
Ecco, ecco cos'è per me.

11 febbraio 2013

Ateologia, un commento semiserio


C'era una volta un giovanotto ebreo che ce l'aveva con gli arroganti, e quindi l'hanno ammazzato in Croce - c'era una volta (e c'è ancora) l'infinita stupidità del genere umano che ha fatto di quel giovanotto un Dio. C'era una volta alcunii vecchietti vestiti in modo bizzarro che per lavoro e per passione cercavano di convincerci tutti che quel giovanotto ebreo fosse morto per i peccati che non ci siamo pentiti di aver commesso. E ci fu una volta in cui il capo dei vecchietti si guardò dentro e decise di lasciar perdere, decise che era troppo, decise di cambiar mestiere - e continuò a pensare quello che gli pareva, e continuò a credere che quel pane e quel vino fossero il corpo e il sangue del giovanotto ebreo, e che gli omosessuali sarebbero morti tra le fiamme dell'inferno ma si ritirò a vita privata e non lo disse più a nessuno, perché il capo dei vecchietti bavosi aveva studiato, sofferto, faticato per essere il capo e poi aveva capito che se un Dio esiste non può impedire che si faccia del male, ma almeno quel male non sia fatto a nome suo.

Ecco, oggi ho pensato che mi piacerebbe fosse andata così.
Ho per il Pontetice la stessa considerazione che ho Berlusconi, Grillo, Ingroia e tutti quelli che non voto: ciò che fanno non mi riguarda, ma mi interessa. Quindi, per la rubrica Ateologia: opinioni non richieste su cose che sono più grandi di me, mi piace pensare che sia andata così: che sia stato un gesto di umiltà nei confronti di una maggioranza che non lo riconosce più. Sono per il libero pensiero e il libero pensiero si sforza di accettare che al mondo ci siano, che so, uomini grassi che indossano camicie rosa e persone che pensano che la contraccezione sia peccato (pensateci...WTF?!). Non è sempre semplice ma io ci provo a lasciare che tutti credano pacificamente ciò che vogliono senza che io debba necessariamente convertirli o disprezzarli, solo dissociarmi da loro - e quindi il gesto di quest'uomo mi ha colpita, perché tra tutti i "leader politici" che dovrebbero levarsi dalle palle (un saluto agli amici di Siamo la Gente) mai mi sarei aspettata che l'avrebbe fatto proprio lui, il più conservatore ed estraneo agli altri leader, per ovvie ragioni.
Ho detto la mia e adesso, se vi va, non fate gli hipster e dite la vostra. 

PS:  non vedo l'ora che arrivi mercoledì per leggermi tutti gli approfondimenti di Vanity Fair, che su queste cose è in assoluto il top - per farmi perdonare dopo aver scritto questo post su quello che è il mio giornale prefe - #cosecheanessunointeressano.

6 febbraio 2013

I consigli per San Valentino

Si apre il periodo di San Valentino e mi rivolgo agli uomini.
Uomini cari leggete i miei consigli, vi prego, io sono dalla vostra parte. Io le conosco le donne là fuori, quelle mentalmente anche solo quasi sane sono circa una su cento, e voi siete tanti e tonti, e voglio aiutarvi a conquistare la donna dei vostri sogni se è sufficientemente sveglia da farvi innamorare.
Leggete attentamente: L'errore che fate sempre e che noi sempre detestiamo può essere felicemente evitato mediante poche, semplici regole che qui vi descrivo.

L'uomo delle rose
NIENTE ROSE, mai, per nessuna ragione, almeno non a San Valentino - la tradizione sta superando i confini più tristi della mediocrità, sopratutto se state insieme da ottocento anni e le avete regalato i fiori due volte e quei due fiori erano rose, magari rosse, per andare sul sicuro.
Regola numero due: cercate di scegliere un fiore con un minimo di significato e se l'unico che vi viene in mente è rose = amore sappiate che morirete soli, quindi vi prego andate avanti a leggere.

I fiori sono tanti, maledizione, e sono belli, non vi costa un c*zzo cercarne di particolari. Basta andare dal fioraio e chiedere "qualsiasi cosa tranne i crisantemi" e questo basterà a stupirci: sia perché vi siete presentati con i fiori (quando vi accogliamo con gli occhioni sgranati e miagolii d'amore e dentro pensiamo che ci abbiate tradite) sia perché non è stato un raptus di gentilezza nei confronti del cingalese nei paraggi, avevate davvero voglia di farci un pensiero carino e a noi servono i pensieri carini.

(Che poi San Valentino fa proprio schifo - ma io è meglio che non parli di festività. La mia Simpatia Natalizia è nota in tutta la regione, e non parliamo della Pasqua che a noi atei non serve a niente, ci fa solo ingrassare perché mentre i cattolici stanno in Quaresima noi ci sfondiamo di cibo e uova di Pasqua. Dio ci punisce per i nostri peccati, ma intanto ce la spassiamo un casino).

Quindi, un'ultima volta ragazzi: "buongiorno vorrei quello che le pare tranne rose e crisantemi, budget enne euri, grazie" e il resto verrà da sé. Bravi, adesso potete tornare alla Gazzetta, o ai piedi di Concita De Gregorio visto che rimane fisso in III posizione tra le parole chiave - e me ne compiaccio. 

Niente rose, vogliatevi bene, proteggetevi: e buon San Valentino a tutti.

31 gennaio 2013

"Porta i tuoi bla bla da un blablaologo"

#coseche non sempre sono vere
Ho il bloggo - che sarebbe il blocco della blogger, perché definirmi "scrittrice" forse è un filo pretenzioso, e se devo dire la verità anche la parola "blogger" mi infastidisce. Voglio dire, ce le avete presente le blogger? Sono tutte fighissime e hanno tutte la reflex, io somiglio più a un folletto incazzoso a cui è capitato in mano un computer.

Avevo scritto un post, in realtà. Era figo, mi piaceva, mi faceva ridere: l'ho cancellato per sbaglio e quando è successo credo di aver tirato in ballo un paio di divinità e di aver detto ad alta voce "allora muori", a me stessa. Quindi niente, finché sono qui...aggiornamenti vari ed eventuali, per i parenti preoccupati che seguono da casa le vicende: è stato un buon mese, è cominciato nel mio letto piccolo col mio ragazzo grande dopo un bel Capodanno, e qualche giorno dopo ho superato brillantemente l'ultimo, terrificante esame e mi sono anche iscritta a yoga. Ho provato pure a smettere di fumare ma è durata addirittura tre giorni, adesso ci stiamo riprovando e comunque ho ridotto di parecchio il numero. Il lavoro va bene, ho voglia di laurearmi e finalmente i miei capelli hanno raggiunto una lunghezza tale da poter essere legati: per ora sembro un samurai, ma confido nella primavera.
Insomma, poche brevi righe solo perché mi andava.

Tornerò (spero il prima possibile) con qualcosa di meno personalicchio, o almeno di meno frettoloso.
Gennaio è quasi finito, finalmente.
E magari a breve il mio colorito assumerà sfumature meno giallognole e forse potrò rivedere il mio tatuaggio che da novembre giace coperto sotto slip, pantacollant e pantalone essendo posizionato esattamente sopra il mio culo che, per inciso, non vedo da mesi. Insomma, ho bisogno di aria, di vestiti leggeri, di respirare e camminare, non correre dalla stazione a casa perché ho paura di morire di freddo.
E non venite a dirmi che a voi piace l'inverno perché questo farebbe di voi delle persone orribili (esattamente come i cavalli). Quindi, buon fine inverno a tutti!

19 gennaio 2013

Io me e Irene



Che la rubrica della psicologa Irene Bernardini (Vanity Fair) mettesse un po' a disagio lo sapevamo già.
Non che quelle degli altri giornali siano migliori, gli schemi sono sempre quelli, risposte superficiali a questioni complesse: a chi tradisce (o è tradito) si dice di far fuoco e fiamme, a chi parla di solitudine e depressione si risponde con baci e bacetti, e ai pochi che sottopongono questioni preoccupanti si suggerisce di rivolgersi a uno psichiatra.
Insomma, a chi e a che cosa servano rubriche come queste nell'epoca di internet non è proprio dato saperlo - ma qualcosa di più utile? Tipo una pagina sui dieci grandi classici da leggere almeno due volte prima di morire? O inserti di lavoro per gente dai diciotto ai venticinque anni? Ma devo essere io a dirvelo? 
Che poi a me le rubrichette di "psicologia" mettono sempre di buonumore: mi piace pensare che se fallirò nella vita avrò sempre il mio qualunquismo pressapochista da presentare alle redazioni delle riviste di costume. 

Oggi parliamo dell'ultimo numero di Vanity Fair (quello con in copertina il vescovo Giorgione, bellezza nordica e indicibile eleganza) e di Irene Bernardini, "psicologa di carta":
Alice, quattordicenne di Bologna, le dice di sentirsi esclusa e spaventata, soffre di ipotiroidismo e porta una 44 - si vede (già) grassa e sola ed è quel "già" a spararmi dentro.
L'Irene le dice che i dintorni di Bologna non sono poi così male, aggiunge che la andrebbe a trovare per scuoterla a parole, e per farla stare meglio poserebbe le mani sulle "spalle ben tornite" della ragazzina - frase che la ragazzina non avrà preso per un complimento, ma solo un altro modo per dirle che è "robusta", e quindi "grassa".
Poi apre una parentesi e dice testualmente: "Detto tra noi, se proprio vogliamo tener conto dell'apprezzamento maschile, e certo che lo vogliamo, i ragazzi amano la morbidezza del corpo femminile, perché di spigoli, nel corpo e nell'anima, ne hanno fin troppi da smussare".

A parte che la risposta è di una banalità imbarazzante, stiamo leggendo che le ragazze in carne sono meglio di quelle magre. Questione di gusti, certo, ma non a quattordici anni quando qualsiasi ragazza, grassa o magra che sia ha dei problemi col suo corpo - io ricordo che trovavo il mio corpo schifoso, ripugnante ed efebico, volevo la carne e il seno delle mie amiche, volevo sentirmi al sicuro in me stessa.
Insomma, rispondere a una quattordicenne che è meglio delle altre quattordicenni che hanno problemi da quattordicenni mi è parso un po' superficiale, ai limiti del cattivo gusto.
Le insegniamo che lei è meglio degli altri che hanno solo la colpa di essere nati in un modo diverso? Siamo sicuri che funzioni? Forse è meglio non mentirle, forse è meglio dirle questo.

Alice, non sono una psicologa ma te lo dico io: a quattordici anni portavo una 36 ed ero un cesso, un mostro vero. Gli ormoni devastavano il mio corpo e la mia psiche: ero sempre irritabile, triste, simpatica come una mammografia. Un ragazzo non mi avrebbe avvicinata nemmeno sotto minaccia di morte, probabilmente puzzavo anche un po' di sudore e avevo i capelli sempre unti perché non sapevo dosare il balsamo. Certo, non soffrivo di ipotiroidismo ma avevo le mie belle tragedie sulle spalle, che non erano tornite ma esili e non avrei lasciato che qualcuno ci appoggiasse le mani sopra - non sei malata e non sei grassa, hai quattordici anni e quella è un'età di merda.
Sono passati nove anni e in quegli anni non ho mai avuto nessuna difficoltà a piacere ai ragazzi, sono magra ma non bellissima, a volte carina a volte "solo" tanto simpatica e come te ho dei begli occhi, non verdi ma castani - e ho un'amica che ha sofferto di ipotiroidismo è che è fidanzata e innamorata da diversi anni, è tosta e intelligente.
Passerà e tu sarai la prima a riderci su, lascia perdere i "consigli dell'Irene".
Magari crescerai e la tua 44 diventerà una 38 e odierai il tuo naso, o magari ti piacerà il tuo naso e continuerai a portare la 44 - chi può dirlo, cara Alice? Forza e coraggio, gli anni più belli della tua vita stanno per arrivare, e spero che ti farai trovare pronta.

In ogni caso, milioni di donne comprano riviste di costume, alcune delle quali veramente belle.
Milioni di donne, milioni di euro che finiscono nelle tasche di chi ci lavora - una parte finisce nelle tasche della "psicologa" che beve un caffè e seleziona un paio di lettere da pubblicare, sceglie l'adolescente insicura che fa sempre tendenza (adesso poi, col cyberbullismo!) e scodella una risposta che è un po' un'offesa a quelle donne tutte ossa e spigoli che sono nate così o peggio, ci sono diventate per una malattia del corpo o della mente. Io non credo che si sentano belle, sapete? Non credo che spingere il proprio corpo a una magrezza eccessiva e letale sia un desiderio di essere più attraente per gli uomini, credo che sia qualcosa di un filo più complesso ma non vorrei sbagliarmi. Non sono mica una psicologa.

Cari giornali e caro Vanity Fair, togliete le rubriche di ammorbante mediocrità e ci mettete piuttosto un primo piano di Luca Argentero, un George Clooney sorridente, un Vincent Cassel vestito di un lenzuolo di seta - preferiremmo qualcosa di più utile, certo, ma ce li faremo bastare.
Vi prego, non dico licenziare le psicologhe...ma almeno assumere un ghost writer.

15 gennaio 2013

Vi spiego i #trendtopic

15 gennaio alle ventidue e quarantesi, insonne e angosciata - nella speranza di esservi utile.

#iosono - ok, questo è abbastanza semplice, gli adolescentwit (adolescenti su tiwtter, sono tanti, sono organizzati e sono pericolosi) scrivono cose del tipo #iosono quella che si taglia e i genitori non se ne accorgono

#JonasFanNeedEuropeanDates - di nuovo, gli adolescentwit vogliono date dei Jonas Brothers (vedasi foto) in Europa - che poi i Jonas Brothers su Disney Channel erano troppo carini, a me piaceva quello con gli occhi azzurri

#6YEARSKIDRAHUL - allora, a quanto pare un bambino scomparso negli USA sei anni fa di cui ha recentemente parlato Justin Bieber (vedasi foto), che invece trovo molto viscido

#25reasonstoloveHarryPotter - e questo non ve lo devo spiegare ma anzi, fossi una blogger seria ve ne elencherei anche cinquanta, di ragioni

Justin Bieber pettinato col napalm

Napalm pettinato coi Jonas Brothers